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sabato 27 febbraio 2010

SOLDATI, MENO ONU PIU' NATO


I mille soldati
che il ministro La Russa ha promesso per l'Afghanistan sono per adesso solo 170. Che non arriveranno prima di giugno. Solo a ottobre, se tutto va bene e saranno pronte le strutture logistiche per accoglierli, l'Italia manterrà la promessa.

Ma il dado è tratto, con una prima dichiarazione in dicembre ribadita in questi giorni dal ministro, per incassare subito quello che il governo ritiene il dividendo politico da ottenere: dimostrare all'alleato americano e alla Nato che l'Italia scatta sul signorsì, tra le prime nazioni a rispondere all'appello di Stanley McChrystal, il comandante in Afghanistan sia delle truppe Usa sia di quelle Isaf/Nato, che ha già ottenuto da Obama 30mila nuovi marine e ha chiesto alla Nato di garantire truppe fresche. In una situazione complicata dal ritiro imminente dei soldati dei Paesi bassi.

L'Italia ha circa 3mila uomini impegnati in Afghanistan. In buona sostanza, i 500 soldati che Roma aveva mandato in estate per sostenere il processo elettorale, non sono mai tornati, andandosi ad aggiungere ai circa 2500 di stanza soprattutto ad Herat, dove l'Italia ha la responsabilità del comando Nato nel settore Ovest del paese.

A conti fatti dunque, prima che scenda l'inverno, gli italiani schiereranno circa 4mila soldati che resteranno soprattutto impegnati nell'area di Herat dove di fatto si sono ridislocati i 500 soldati “elettorali”, previsti come supporto alla controversa maratona da cui è uscito “vittorioso” Hamid Karzai.
Piuttosto silente, per non dire afono, sull'aspetto politico e sul surge” civile a gran voce evocato, il governo italiano (in questo confortato dall'afonia che caratterizza sul tema anche l'opposizione) affida la partita afgana interamente ai militari, dimenticando forse che sono esecutori di ordini e non protagonisti di svolte che competerebbero alla politica. Ma né La Russa né Berlusconi sono andati più in là, né lo ha fatto Frattini, l'unico per altro a tentare di delineare una strategia anche se non certo innovativa.

Il problema dunque
non è tanto che cosa bisogna fare in Afghanistan, quanto come trovare i mille uomini promessi. Una palla che il governo ha passato volentieri ai soldati per i quali provvedere mille unità non sarà uno scherzo. Di certo si sa che la metà di loro arriverà dal ritiro di parte dei nostri militari in Kosovo (un centinaio) e di un discreto numero in Libano (circa 300 su oltre 2mila che comprendono però anche la componente navale), un numero probabilmente destinato a crescere approfittando del fatto che il comando di Unifil è passato da mani italiche (generale Graziano) a responsabilità spagnola. Una mossa destinata a irritare ancora di più Beirut già contrariata dall'annuncio del primo ritiro.
Presenti in 27 missioni internazionali, gli italiani in divisa in missione all'estero sono oltre 8mila. Roma, in sostanza, sottrarrà alle missioni Onu per dare alla Nato e dunque molto presto la metà dei soldati tricolore sarà impiegata nel teatro afgano. Con che compiti?

“Purtroppo – spiega Federica Mogherini del Pd – veniamo interpellati solo sul rifinanziamento delle missioni, in una parola sul via libero finanziario. Ma quando si tratta di discutere del merito... Certo – aggiunge - in qualche modo c'è un passaggio parlamentare se il ministro viene a riferire in commissione, ma il parlamento è esautorato dal dettaglio, cioè il come dove quando e con che fine. Un limite forte tanto che si sta lavorando a una legge quadro che consenta a Camera e Senato di entrare nel merito delle missioni”.
Una volta decise, in buona sostanza, ci pensa il governo ed è la Difesa a scegliere cosa e come fare.

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