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martedì 6 luglio 2010

IL GIORNALISTA E IL MILITANTE



Non sono tra quelli che pensano che il giornalismo sia una missione. Né (più) tra coloro che pensano che bisogna educare le masse. E quando scorgo la paternale o intravedo, tra le righe, una dotta morale, cambio articolo (a meno che non sia dichiaratamente un commento con quel registro). La militanza, il paraocchi ideologico, la realtà piegata ai nostri convincimenti, è sempre dietro l'angolo e bisogna fare, in questo mestiere, molta attenzione. Non c'è solo il rischio del bel raccontare che, per esigenze di copione e di scorrimento del testo, indugia su qualche pennelata di troppo. C'è il rischio di raccontare, più di quel che vediamo, ciò che pensiamo. In parte è inevitabile (siamo, dice il mio amico Attilio Scarpellini, indipendenti da tutto fuor che dalla nostra testa) ma è davvero bene fare attenzione. Come dice Albert Londres, beniamino e icona di Lettera22, l'unica linea che un giornalista è tenuto a seguire “è quella ferroviaria”.

Ciò però non significa stare in disparte, non schierarsi, non militare. Siamo giornalisti ma anche cittadini e, in queste ore, giornalisti-cittadini minacciati da una legge bavaglio, anticamera di altre che verranno, se questa non fermiamo. Dobbiamo difenderci perché i giornali non diventino sempre più la spazzatura che in parte già abbiamo sotto gli occhi: notizie fabbricate dagli uffici stampa, veline apodittiche, costume e società come se piovesse, indugiando al voyeurismo e alla superficie. Chiedo dunque scusa ai miei lettori se il blog è, da qualche settimana, così prepotentemente schierato. Militante. Ma spero che capirete. C'è un tempo per raccontare ma uno anche per alzare la testa, tener la schiena dritta e, se occorre, gridare. Ci siamo esposti con un appello in Rete (la giornata del “silenzio attivo” del 9), abbiam fatto riunioni e manifestazioni. Complottato benevolmente per il bene comune: il nostro lavoro, la vostra lettura. Ma....

Tra qualche giorno tornerò a Kabul. Per il mio dannatissimo e bellissimo lavoro e un paio di altre cose in più che vi riprometto di raccontare. Riprenderò il mio Diario, affidato a questa navicella telematica, per raccontare, forse prima di tutto a me stesso, quella guerra schifosa, i suoi morti, le sofferenze e le speranze. Ogni volta che vado in Afghanistan, gran parte delle mie convinzioni, formulate a Roma, al desk della mia redazione, vanno in pezzi. E la lezione di Londres, la linea ferroviaria, torna di attualità. Abbiate dunque ancora qualche giorno di pazienza. E seguitemi se vorrete. Vi porterò sulle vette dell'Hindukush dove la natura umana sta dando il peggio di sé. Ma sicuramente, per alcuni, anche il meglio possibile

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