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lunedì 18 ottobre 2010

VIAGGIO NEL PANJSHIR

Sono stato ospite di Emergency per un paio di giorni nel Panjshir. Visita all'ospedale, piccolo gioiellino sperduto nella provincia e un po' di dati sul taccuino per preparare un pezzo sul lavoro umanitario (civile) in Afghanistan. Ma nell'attesa che qualche giornale si svegli, un po' meno interessato alle vicende militari e un po' più attento a quei poveracci che la guerra subiscono (e a quelle tante brave persone che cercano di mettere un cerotto sui danni prodotti dal guerra) mi abbandono nella pace di questa valle. Così a occhio e croce, la valle del Panjshir deve essere lunga un duecento chilometri: collega l'altopiano dove giace la capitale, tra polvere smog, alla provincia settentrionale del Badakshan e c'è praticamente una sola strada – per lunghi tratti non asfaltata – che la attraversa.

Quando ci entrate, in questa valle che fu ed è un caposaldo dell'Alleanza del Nord, capite subito perché i sovietici ci patirono un inferno e perché i talebani non riuscirono mai ad avere ragione di Massud. Piazzato ad Anaba (dov'è infatti l'ospedale di Emergency) il “leone del Panjshir” si trovava a meno di 30 chilometri dall'ingresso della “sua valle”. Circondata da dirupi scoscesi e con pochi alberi, la strada guadagna la valle come suo unico punto di accesso. Capite bene anche senza essere Von Clausewitz, che bastano due persone armate di fionda per fermare un'intera colonna. Li sotto, sulla strada a che corre lungo il fiume, se venite bloccati siete il tirassegno più facile del mondo.

Il viaggio nel Panjshir è così un viaggio in un altro Paese. Passate una frontiera immaginaria e vi ritrovate nell'Afghanistan che avevo visto negli anni Settanta, con qualche telefonino in più e poco altro. La valle è tranquilla e pacifica. La guerra è lontana. E la sua più antica eredità, le mine antiuomo, sono ormai sempre meno in grado di colpire, se non altro per esaurimento. Restano i carri armati all'inizio della valle a dirvi che un tempo si è combattuto. Ma desso... finalmente respirate

Nella valle del Panjshir non ci sono kalashnikov (a vista, almeno), non c'è filo spinato, né blocchi di cemento. Non ci sono contractor con i colli taurini e i capelli rasati, né le divise di avrio colore che sono romai la tappezzeria del Paese. E la casa di appoggio di Emergency vi sembra una pensione quattro stelle old fashion dove siete stati invitati in villeggiatura (chi lavora l'ospedale però fa 12 ore di servizio praticamente sette giorni su sette più le chiamate notturne e dunque l'agriturismo se lo gode poco). In una parola, siete fortunati: questo è un piccolo paradiso dove potete rilassarvi e raccogliere le idee anche perché questi ragazzi di Emergency (l'età media è sui 30-40) fa di tutto per farvi sentire a vostro agio. Ed è difficile non apprezzare il loro lavoro, la passione, l'energia con cui lo fanno. E anche la sofferenza quando non riescono a salvare, inevitabilmente, tutte le vite che vorrebbero

A voi non resta che guardare il cielo terso e quelle montagne che sembrano una quinta infinita dal colore marrone a tonalità sempre diverse (più scuro, chiaro, tendente al grigio o al rossiccio) in fondo alle quali, dove scorre il fiume, si stendono piccole pianurette verdi e qualche pianta. Intorno, le case di fango e paglia (l'adobe afgano) della tradizione, nelle infinite declinazioni delle case contadine o di qualche ricco possidente (non sempre la pace sconfigge la sperequazione della povertà).

Ma, mi dice Michela Paschetto, la responsabile dell'ospedale di Anaba, adesso sta arrivando la strada dalla Cina. Ci lavorano sodo. Progresso? Si certo ma anche tutto quello che una strada vuol dire. Tutto quello che una strada porta, sconvolgendo paesaggi e usanze, sollecitando supermercati e tutte le bellezze-nefandezze della modernità. Dove non può la guerra insomma può una strada. Ma questa è un'altra storia e per Michela vorrà dire raggiungere in due ore anziché in cinque l'ultimo centro di salute a Nord della valle. Per gli afgani significherà smettere di camminare per due giorni. E poi questo è un argomento di confine, una riflessione filosofica troppo complessa. . Per ora basta che la guerra sia lontana almeno qui. Valle del Panjshir. Afghanistan. Respiro questa pace a pieni polmoni.

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