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martedì 19 ottobre 2010

IL PUNTO PRIMA DI PARTIRE

A dirla tutta fuori dai denti, facendo un bilancio per tra giornali, voci, commenti di analisti, ipotesi varie, l'ormai quotidianamente sbandierato processo di pace sembra poca cosa. Si, certo, ci sono stati contatti, incontri semi ufficiali e un gran roteare di dichiarazioni in positivo, ma nella realtà dei fatti un negoziato tra governo e talebani sembra davvero ancora lontano o, quantomeno, alle mosse iniziali. Domani torno in Italia e dunque è tempo di tirare le fila di quel che ho capito. Non molto, come sempre, perché il quadro è difficile, complesso, pieno di sgambetti. Ma provo a fare il punto

Gli americani
Certo qualcosa è cambiato. Soprattutto l'atteggiamento degli americani anche se, questi ultimi, un giorno dicono una cosa e un giorno ne dicono un'altra (ad esempio non è affatto chiaro se Washington abbia dato luce verde ai contatti con la “cupola”. Sì secondo il Post, no secondo il portavoce del dipartimento di Stato Philip Crowley secondo cui con mullah Omar non si tratta). Gli Usa sono l'attore principale del conflitto e dunque ci vorrebbe un po' di chiarezza mentre si ha l'impressione che la lotta interna, tra chi se ne vuole andare domani o dopo (Obama), chi vorrebbe rimanere sine die (i militari) e chi non sa bene che pesci prendere (Holbrooke che tutti danno in caduta libera) deve ancora finire. Ma ciò nuoce da una parte e, dall'altra, agli occhi degli afgani (e non solo ai loro) dice chiaramente che Washington vuole pilotare il processo. Altro che afganizzazione

Il governo afgano

Il disegno è abbastanza chiaro: in superficie mettere un mucchio di paletti, sotto sotto cercare di trattare con tutti: mullah Omar, la rete Haqqani, Hekmatyar (diciamo, per semplificare, i tre fronti della guerriglia) eintanto cercare di isolare i gruppi qaedisti (diciamo cosi ancora per semplificare) e fare in modo di eliminare, dove possibile, quel manipolo di arabi, uzbeki, ceceni che spesso crea problemi agli stessi talebani. Ma Karzai è debole internamente e con un appoggio ondivago della Comunità internazionale. Adesso sì domani no, oggi corrotto domani unico punto di riferimento. Il segnale attuale è però che può andare avanti: la sua famiglia, implicata in scandali a vario titolo, si beccherà solo una multa. Sulla corruzione si batterà un po' di meno e sulle elezioni, le cui frodi manifeste dovrebbero garantirgli parlamentari fedeli nella futura Wolesi Jirga, si chiuderà un occhio, come si è già fatto nei mesi scorsi.


Il Pakistan

Poi ci sono i pachistani. Sembrano seriamente intenzionati a lavorare a una soluzione ma a patto che la possano pilotare. Sanno di avere l'asso nella manica, ossia il controllo dei movimenti dei capi talebani che stanno, con buona probabilità, a Karachi e di cui sono a loro note le abitazioni, i movimenti, gli incontri. Il conto che i pachistani non fanno o che non vogliono fare, riguarda il controllo reale sul terreno in Afghanistan dove il Pakistan è detestato e la cui influenza viene percepita come una forte ingerenza (anche dai molti talebani). C'è dunque un rapporto di reciproca utilità ma legato a un filo. Nondimeno Islamabad può giocare un ruolo chiave e lo sa. Ma sa anche che, in certi termini, non può giocare tutta la partita da sola (come le piacerebbe) tenendo sempre in mano il mazzo

Sauditi
Riad e i Paesi del Golfo sono giocatori importanti. L'Arabia saudita ha una forte influenza sui partiti pachistani e in generale sui fedeli, oltreché sui combattenti. Garantisce autorevolezza e denaro. E per il Pakistan Riad è un Paese amico purché non si metta in testa di essere il protagonista della soluzione e non solo uno degli attori. Il Golfo gioca di conserva. Procura le sedi negoziali all'occorrenza, può garantire esilii dorati e infine è la grande banca dietro ogni affare. Ci sono anche loro

Iran e Turchia
Il ruolo del'Iran è fondamentale nel quadrante Ovest, quello per intendersi, sotto controllo italiano. Teheran è un attore difficile ma ineludibile come ha detto bene qualche giorno fa il premier turco Erdogan. Che parte abbia poi la Turchia non è chiaro ma potrebbe essere un gran facilitatore, come si dice: sta nella Nato ma non spara un colpo, è vicina a Islamabad, Riad e Teheran. Ha acquistato punti tra i musulmani dopo il confronto con Israele su Gaza e pensa in termini un po' più che solo regionali. Ha un forte interesse in Afghanistan dove vivono popolazioni turcofone

Il quadro regionale
Ci sono ovviamente altri attori in circolo: l'India, la Cina e i Paesi dell'ex Urss e la Russia. Purtroppo la (buona) idea di una conferenza regionale, che fu lanciata dal governo Prodi, non ha fatto un passo avanti. Il governo italiano attuale non ha saputo o voluto rilanciarla e nella Ue nessuno si è preso la briga di lavorarci. Ma senza la Cina e l'India non si va da nessuna parte. La Cina sta investendo miliardi in Afghanistan, non vuole un governo oltranzista, non è interessata a un bubbone di tensione tra Pakistan, Iran, India ed ex Urss. Ma l'India è ancora più importante. Anche se la soluzione dei problemi tra Islamabad e Delhi è di là da venire, sia il Pakistan sia l'Unione vanno rassicurati e, in una certa misura, una conferenza regionale che si trasformasse poi in una sorta di forum regionale stabile (con Onu e Paesi occidentali come osservatori con diritto di parola) potrebbe essere un'idea. Mosca per ora tiene un ruolo abbastanza defilato per ovvi motivi. Ma adesso la Russia può dire la sua visto che la rete di supporto logistico per la Nato già passa dall'ex Urss e acquisterà sempre più importanza. E gli afgani le sorridono. Mosca vuole tornare in ballo

Parola, parole, parole
Intanto la guerra continua. Stando al Nyt, si è tornati alla vecchia strategia controinsurrezionale: arresti , omicidi mirati, operazioni delle squadre speciali. Moltiplicandoli. Nessuna spallata per ora (tipo la fallimentare Operazione Marjah) ma un aumento del 50% dei bombardamenti e operazioni territoriali mirate di altri contingenti (vedi l'Italia nel Farah e la Germania al Nord in questi giorni) che tendono a consentire agli americani di disimpegnarsi in alcune aree e di impiegare più forza nell'Helmand. Si parla di pace ma si fa più guerra e i talebani non sono da meno. Fanno la guerra e continuano a smentire qualsiasi incontro o avvicinamento. Eppure...

Eppure la capitale è tranquilla, come se si fosse perlomeno stato eletto un domicilio negoziale possibile. I talebani e altri gruppi avrebbero ottenuto anche dalla Nato il salvacondotto per entrare in città. E in città si tratta. Ai colloqui del Serena e dell'Intercontinental dei giorni scorsi, oltre a pachistani, ex talebani e gente vicina al governo, c'era anche l'Onu e alcune ambasciate europee, tra cui, dicono qui, tedeschi e italiani. Qualcosa si comincia in effetti a muovere. Poco, pochino, meno di quel che sembra. Ma è l'unica speranza, seppur flebile, cui possiamo attaccarci.

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