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venerdì 31 dicembre 2010

CON LA SCUSA DI AL QAEDA

Se la guerra ad Al Qaeda e ai talebani diventa una scusa per regolare i conti interni con chi si oppone alla politica del governo, l'imbarazzo e la preoccupazione di chi quel governo sostiene ormai da dieci anni sono la prima logica conseguenza. E se i due paesi in questione sono il Pakistan e gli Stati uniti, da mesi ormai con rapporti molto tesi per la guerra agli islamisti in Afghanistan e all'interno del Paese dei puri, le cose si complicano.

Un nuovo elemento di frizione tra i due Paesi è emerso ieri sulle pagine del New York Times che ha ottenuto la sintesi di un rapporto presentato al Congresso dal Dipartimento di Stato il 23 novembre scorso. Un rapporto tenuto a lungo sotto traccia forse proprio per la tensione nei rapporti tra Islamabad e Washington, appena riattizzati dalle polemiche seguite a una denuncia presentata in un tribunale pachistano contro il locale capo della Cia (costretto a fare le valige), per non parlare del contenzioso sulla logistica dei beni di prima necessità dal porto pachistano di Karachi all'Afghanistan e o dell'eccessiva moderazione con sui, secondo gli Stati uniti, Islamabad reagisce alla sfida degli islamisti, sia stranieri, sia di casa.

Il rapporto
mette nero su bianco la scomparsa di centinaia di militanti non solo talebani ma, in buona parte, della minoranza beluci, gli abitanti della regione occidentale al confine con l'Iran, in guerra con Islamabad dagli anni Settanta per ottenere la separazione del Belucistan dal Pakistan (o per i più moderati una maggior autonomia).

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