
Ma se un ambientalista è abbastanza pragmatico e abbastanza deideologizzato da porsi comunque una serie di domande (come posso difendere un mio simile) c'è qualcosa su cui forse è legittimo interrogarsi a priori. Non è vero infatti che sulla guerra finiamo sempre per esprimerci (e condannarla) una volta che è scoppiata? Se a Pasqua, come a Natale, si fanno buoni propositi, non sarà il caso, questa volta, di chiederci cosa si può fare prima che la guerra, ultima e pessima ratio, diventi lo strumento principale per tentare (spesso fallacemente) di risolvere un problema?
Il dibattito sul conflitto in Libia ha messo in luce due elementi: il primo è che, per la prima volta, la comunità internazionale ha messo nero su bianco in una risoluzione largamente condivisa il concetto di protezione dei civili. Giusto, sacrosanto, indubitabile passo avanti. Ma il secondo elemento è che, per proteggere, abbiamo utilizzato strumenti che si stanno rivelando, come già in passato, pericolosi e per nulla risolutivi. Le bombe non scacciano le bombe: le chiamano. E un 'organizzazione regionale (la Nato) non può assumersi l'incarico a nome degli oltre 180 Paesi che compongono il mondo. Abbiamo bisogno di strumenti nuovi. E sarebbe ora che ci pensassimo prima. Perché, dopo la Libia, potrebbe esserci lo Yemen, il Bahrein o, nuovamente, il Sudan....(CONTINUA SU LETTERA22)
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