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venerdì 22 luglio 2011

IN MANETTE IL BOIA DI VUKOVAR

Quando si può scrivere l’ultimo atto di una guerra? Quando si può decretarne la fine, se non nelle coscienze, almeno nelle carte che attestano, oltre gli accordi e i negoziati di pace, che, in qualche modo, giustizia è fatta contro coloro che quella guerra vollero e a cui aggiunsero drammi e atrocità ben oltre la nefandezza che già in sé ogni conflitto contiene? Se l’arresto ieri mattina di Goran Hadzic sia l’ultimo atto della guerra Balcanica è presto per dirlo. Ma la sua cattura non solo chiude un capitolo ma ne apre un altro. Chiude un capitolo giudiziario e apre un nuovo capitolo con l’Europa. Chiude un capitolo giudiziario perché Goran era l’ultimo dei ricercati per crimini di guerra (161) dal Tribunale dell’Aja. E apre il capitolo dell’ingresso di Belgrado nella Ue.

Una quadratura del cerchio che non cancella le pagine buie di quel conflitto e non può far dimenticare il dolore e le ingiustizie subite da chi non ha visto né condannati né incriminati i molti assassini che l’hanno fatta franca, ma che mette un punto bene o male da tutti accettato. Partita è chiusa? Non potrà esserlo prima di venti o trent’anni per i contenziosi territoriali irrisolti e per una sofferenza che si protrae nelle proprietà occupate abusivamente o nelle troppe tombe dei cimiteri bosniaci, croati e serbi. Ma si può ripartire. Il nome di Goran Hadzic è legato ad alcuni buissimi episodi della guerra. Anzi, dei suoi esordi. Ex magazziniere nato nel 1958 a Vinkovci, in Croazia, a 32 anni diventa assessore del comune di Vukovar.

E’ solo l’inizio
di una scalata politica tra i nazionalisti serbi che lo porterà – fedelissimo di Milosevic – a essere presidente, dal febbraio 1992 al dicembre 1993, dell’autoproclamata Repubblica serba di Kraijna. Ma la sua storia è legata a Vukovar per ben altro che la sua attività di assessore. E il tribunale dell’Aja gli ha cucito addosso 14 capi d’accusa proprio per i crimini commessi nella città martire: otto imputazioni per crimini contro l’umanità (persecuzioni su base politica, razziale e religiosa, sterminio, omicidio, detenzione illegale, tortura, comportamento disumano, deportazione) e sei capi d’accusa per crimini di guerra (omicidio, tortura, crudeltà, distruzione ingiustificata di villaggi, distruzione o danneggiamento di istituzioni religiose e educative, saccheggio di proprietà pubbliche e private).

Latitante dal 2004, sono proprio le malefatte di Vukovar a perseguitare Goran: l’assedio della città dura 87 giorni, dall’agosto al novembre 1991. L’Esercito popolare di Jugoslavia, coadiuvato dalle Tigri di Arkan e dalle Aquile bianche di Seselj alla fine ha ragione della resistenza croata ma, fissata la resa, l’evacuazione di circa 300 croati dal locale ospedale si tramuta in un’esecuzione sommaria: caricati sugli autobus vengono portati a Ovcara e uccisi nella zona agricola di Vupik, dove chi verrà fucilato viene obbligato a gettare nella fossa comune chi è stato ucciso prima di lui. Adesso solo il processo potrà determinare quantità e qualità delle responsabilità di Hadzic. Quanto a Belgrado, il presidente Boris Tadic, da cui è arrivata la conferma ufficiale dell’arresto di Hadzic, ha voluto sottolineare che l’operazione non è stata il frutto di pressioni esterne, ma solo quel che andava fatto. Un atto dovuto. Ora Belgrado si aspetta che Bruxelles faccia la sua parte. Che chiuso un capitolo dalla Serbia, sia adesso la Ue ad aprirne uno nuovo.

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