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martedì 5 luglio 2011

LA SCOMMESSA DI MADAME SHINAWATRA

Duecentosessantacinque voti su 500 sono una maggioranza netta su cui contare per la neoeletta prima ministra thailandese Yingluck Shinawatra, ma non abbastanza per governare senza problemi in quello che i giornali tailandesi già chiamano un “campo minato”. Ma una coalizione con quattro partiti minori dovrebbe dare maggior tranquillità a questa signora di una quarantina d'anni, di nessuna esperienza politica e col fardello di essere la sorellina di Thaksin Shinawatra, il magnate premier spedito in esilio (era all'estero quando avvenne il fattaccio) da un golpe pilotato dalla corona e presidiato dai carri armati nel 2006.

Cinque anni, molta turbolenza istituzionale e una novantina di morti dopo, la Thailandia sembra assetata di tranquillità e la vittoria elettorale a grandi numeri di Yingluk, che ha costretto il suo rivale Abhisit Vejjajiva a dimettersi con l'onta di una sconfitta travolgente, potrebbe delineare un futuro meno rissoso se tutto andrà come deve andare. Ma è come quel futuro debba andare che divide progetti e strategie della gente che conta. La gente che conta, in Thailandia, è di tre tipi: c'è la corona retta dall'ottuagenario Rama IX che ha avuto una parte di primo piano nel golpe e resta un nemico giurato di Thaksin. Non si vede perché non dovrebbe temere la sorella. Poi c'è una classe imprenditoriale divisa: chi sta col miliardario, per anni in odore di conflitto d'interessi (una sorta di Berlusconi asiatico) e, infine, ci sono i militari. Il re ha tenuto un basso profilo mentre i militari han detto, singolarmente, la loro, a indicare quanto contano: il ministro della difesa uscente ed ex capo di stato maggiore dell'esercito, Prawit Wongsuwan, ha assicurato che accettano il responso delle urne e non si opporranno alla formazione di un governo formato dall'ex partito d'opposizione Puea Thai, guidato da Yingluck. Gli imprenditori aspettano. Il Paese non sta tanto bene ma può darsi che la promessa di “riconciliazione” funzioni, al netto di quanto faranno le camice di vario colore (rosse quelle pro Thaksin, gialle le altre), movimenti di piazza solo in parte pilotati ed espressione di un malessere che va oltre la battaglia a favore di questo o quel leader.

Le mine, più o meno vaganti, restano dunque tutte. E la strada è in salita: un ruolo internazionale da ricostruire; una democrazia poco più che formale; uno scontro città campagna che ancora non si è composto; i musulmani del Sud; l'economia da rilanciare; la pace sociale da garantire. Ce la può fare la signora mille sorrisi che sembra il poliziotto buono della famiglia Shinawatra? Il fratello ha fatto professione di umiltà e ha detto che il premier non lo vuol fare più. Ma la domanda vera è un'altra? Potrà tornare in Thailandia? E se si, per fare cosa? Quanto dei suoi affari saranno garantiti dalla giovane sorella? Un quadro che resta a tinte fosche anche se qualche osservatore ha avanzato l'ipotesi di un accordo sotto banco che qualcun altro ha invece smentito.

Messo a posto governo e parlamento (il primo test saranno i ministri), Yingluck dovrà mettere mano al Paese. E si vedrà subito se intende proseguire la fortunata politica populista e molto popolare del fratello, una vera e propria macchina del consenso forgiata su una strategia vicina ai ceti più poveri e ai contadini cui Thaksin aveva fatto arrivare finanziamenti e agevolazioni in un Paese dove ancora si suda facendo tirare l'aratro dai buoi.

Archiviare il passato non sarà facile ma Yingluck può contare sul fattore stanchezza. I tailandesi vogliono normalità e forse anche normalizzazione. Non importa forse se alla parete della prima premier donna del Paese, c'è la foto di Thaksin al posto di Rama IX.

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