

E mentre Karzai condanna il video e gli stessi marine prendono le distanze dal corto promettendo un'inchiesta, anche i talebani decidono di dire la loro sul fatto che diventa, alla fine, e paradossalmente, una carta in più a favore del processo di pace. I talebani infatti, che non si stupiscono della brutalità connaturata all'occupante, sostengono però che il video non comprometterà gli sforzi perché il negoziato vada avanti. Purché alle loro condizioni. In un altro messaggio, che risponde forse alle aperture americane rilanciate dalla stampa statunitense, i talebani ribadiscono infatti di concordare sulla scelta dell'ufficio a Doha sottolineando però come ciò non significhi automaticamente, il riconoscimento del governo di Kabul o della Costituzione afgana. E se sul primo punto Washington potrebbe anche chiudere un occhio (Karzai ovviamente no), il riconoscimento della Costituzione è uno dei tre pilastri (la famosa linea rossa) che, con la rinuncia alla violenza e la fine di ogni legame con Al Qaeda, resta per Washington un punto fermo. Come in giornata ribadito dal segretario di Stato Hillary Clinton.
I talebani non hanno presumibilmente nessuna difficoltà (almeno la fazione della shura di Quetta che fa capo a mullah Omar) a rinunciare ai proclami di Al Qaeda, cosa in parte negli anni già avvenuta. E sulla violenza ci si può intendere: i talebani hanno infatti chiarito che non deporranno il kalashnikov ma non sono contrari a una tregua preliminare che sembra anzi essere uno degli argomenti più facili da mettere sul tavolo di un futuro negoziato.

Resta dunque il nodo della Costituzione ma anche quello della partecipazione di Kabul al processo, un tema che Karzai discuterà con l'inviato di Obama per l'AfPak. Marc Grossman. Una solida carriera alle spalle (ambasciatore ad Ankara e due volte sottosegretario) è l'uomo che sostituisce Richard Holbrooke dal febbraio scorso e dunque il tessitore dell'ultima fase dei contatti coi ribelli(sotto traccia, dicono a Kabul, da due anni e mezzo). Settimana prossima andrà sia a Kabul, sia a Doha e l'ispirazione del pezzo del Post di ieri deve essere venuta dal suo ufficio: l'articolo dice che solo se ci sarà la benedizione di Karzai il negoziato coi talebani potrà andare avanti. Apertura che cerca evidentemente di mettere fine all'irritazione di Kabul che aveva ritirato l'ambasciatore a Doha e rispolverato la polemica sui raid notturni e sul carcere in cui gli americani detengono i guerriglieri afgani. Tutto ciò mentre si discute un delicato accordo tra Afghanistan e Usa sulla permanenza di basi e soldati stellestrisce dopo il 2014.
Dopo Kabul, Grossman visiterà anche Ankara e Riad (le due capitali che Karzai avrebbe preferito a Doha) e gli Emirati arabi uniti. Dovrà convincere un recalcitrante Karzai e fare in modo che Arabia saudita e Turchia gli diano una mano. Ma poi bisognerà far accettare ai talebani una Costituzione che, pur se riconosce all'islam un ruolo preminente negli affari di Stato, consente anche alle donne di essere al pari degli uomini e ad entrambi di scegliersi, con libere elezioni, un presidente che non sia per forza ispirato da Dio. Ma se il buon giorno si vede dal mattino, l'Afghanistan sta entrando in una nuova fase. Che potrebbe essere migliore della precedente.
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