Adesso che abbiamo appreso dal Washington Post che gli americani scambiavano da un pezzo i detenuti di Parwan (Bagram) con la guerriglia (merce di scambio per garantire sicurezza in alcune aree) e che dunque avevano già prefigurato il famoso scambio (mai avvenuto) dei prigionieri di Guantanamo come richeisto dai talebani, si capiscono molte cose. Perché ad esempio Karzai ha tanto insisitito affinché nell'accordo di paternariato con Washington Kabul avesse il diritto di giurisdizione sui prigionieri di guerra, sottratti a Bagram all'autorità giudiziaria locale. A fare scambi e accordi con i prigionieri (gli Usa potevano farlo sia perché i prigionieri erano sotto giurisdizione militare americana, sia perché, essendo però in Afghanistan, il permesso di liberarli non andava richiesto né a un giudice civile né al Congresso) voleva essere Karzai stesso, probabilmente al corrente dell'interva vicenda. Ora potrà farlo
L'ipocrisia non è una novità quando c'è la guerra (non lo è in tenmpo di pace, figurarsi in tempo di conflitti). A questo proposito (e visto che il pamphlet parla molto spesso di Afgfhanistan e quindi ricade a maggior ragione sotto l'interesse di questo blog) è uscito un simpatico libretto di Fabio Mini: "Perché siamo così ipocriti sulla guerra" (Chiarelettere, 84 pp, 7 euro). Ci sta a pennello anche in questo caso dove di ipocrisia ce n'è tanta ma è anche ovviamente una parte ineludibile di come si fa la guerra. In Afghanistan e altrove
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