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giovedì 10 maggio 2012

NON DIMENTICARE IL CASO BIANZINO

Per quelli che non l'avessero ancora letto, posto la parte finale del mio articolo sulla vicenda del povero Aldo Bianzino, uscito sul numero 2 di Terra (il n.3 sarà in 3 edicola a giorni). E' una storia pazzesca che si è appena arricchiata di alcune terribili novità. Per la procura di Perugia il falegname di Pietralunga morì per cause naturali nella prigione di Capanne una notte del 2007. Ma i conti non tornano. Una fotografia e molti altri particolari dicono che quell’ipotesi non regge

Il caso è chiuso? Il padre di Aldo, Giuseppe Bianzino, non la pensa così e vuole fare di tutto perché il ricordo di suo figlio non si chiuda sotto un muro di silenzio rotto solo da amici o dai Radicali. Con la stessa carica di dubbio dell'ottobre di cinque anni fa ma con almeno tre elementi in più. Quasi tutti emersi nella penultima udienza, in gennaio, e che hanno messo a nudo, clamorosamente, la fragilità della decisione di archiviare. Facciamo un passo indietro.

Bianzino entra in prigione venerdi 12 ottobre in condizioni fisiche normali. Ma la mattina di domenica 14 viene rinvenuto, inanimato, sulla branda superiore del suo letto. I suoi indumenti si trovano, ordinati, su quella inferiore. La finestra della cella è aperta e, sebbene sia ottobre inoltrato, Aldo indossa solo una maglietta a maniche corte. Per il resto è nudo. La notte si è lamentato ma solo al mattino viene trasportato fuori della cella e deposto sul pavimento del corridoio dell’infermeria, sita a pochi metri. Viene innalzato un lenzuolo così che gli altri detenuti non vedano. Un medico dirà di non riuscire a spiegarsi per quale motivo sia stato portato sul pianerottolo davanti alla porta dell’infermeria ancora chiusa poiché, in altri casi, l'intervento del soccorritore – com'è logico - avviene direttamente in cella. Si tenta dunque la rianimazione effettuando il massaggio cardiaco: uno dei punti – l'abbiamo già rilevato - più oscuri dell'intera vicenda. Le indagini dopo la sua morte riveleranno subito che si riscontrano “…lesioni viscerali di indubbia natura traumatica (lacerazione del fegato) e a livello cerebrale una vasta soffusione emorragica subpiale, ritenuta al momento di origine parimenti traumatica…”. L'inchiesta però esclude proprio quell'emorragia traumatica e sposa la tesi dell'aneurisma. Viene aperto un procedimento nei confronti di una guardia per omissione di soccorso. Del resto, se Aldo è morto per lo scoppio di un aneurisma cerebrale, si esclude automaticamente l'omicidio. Resta quel fegato “strappato” dalla sede naturale sul quale la letteratura medica è avarissima di casi in cui ciò possa essere avvenuto a seguito di un massaggio cardiaco. Si archivia. Ma ecco che nel recente processo alla guardia, nell'udienza del 16 gennaio scorso, emergono elementi nuovi.

I tre punti oscuri

L'aneurisma che non c'è. Tutta l'ipotesi dell'archiviazione si basa sull'esistenza di un aneurisma che viene ampiamente documentato dai consulenti del pm Anna Aprile e Luca Lalli in una minuta documentazione del 2008, nella quale si vedono (figura1) le parti smembrate del cervello di Bianzino. A pag 20 del loro dossier mostrano un'altra immagine (figura2) dove viene fotografata una sezione del cervello con, cerchiata in rosso, la <<“malformazione” vascolare aneurismatica origine del sanguinamento>>, come riportato nella didascalia. Ovvio che le due figure vengano messe in relazione. Ma non è così. Il fotogramma 2, con tanto di cerchio rosso, non è del cervello di Bianzino. E' materiale d'archivio! Tanto che, interrogata dal giudice, la professoressa Aprile spiega che: Noi non abbiamo riscontrato l'aneurisma, ma abbiamo riscontrato dei vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l'ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea. Insomma quella immagine era nulla più che letteratura medica per, diciamo, mettere in relazione vasi con delle caratteristiche alterate, che ben si correlano con l'ipotesi di una rottura, diciamo, spontanea...Insomma l'aneurisma per cui Bianzino morì, nel suo cervello non ci sarebbe o almeno non è così visibile da poterne fare un fotogramma che non lasci ombra di dubbio (i corsivi sono nostri).

Il fegato che sanguina. I medici rilevano che attorno al fegato di Aldo ci sono 280 cl di sangue, in una parola un terzo di litro. Quella fuoriuscita di sangue sarebbe dovuta dalla pressione esercitata durante la rianimazione. Ma allora Bianzino era già morto. Oltre ai dubbi già sollevati, anche le spiegazioni tecniche lasciano aperte molte porte. Ancora Aprile davanti al giudice: Arresto cardiaco o non arresto cardiaco, lesione in vita o lesione in morte, l'immagine che si deve avere rispetto a questa azione di compressione a livello locale è quella di una spugna. Il fegato è pieno di sangue.... Anche il magistrato ha un momento di apparente perplessità: <<...si ecco, riguardo a questo punto, però, la manovra rianimatoria ha come punto di riferimento il cuore, ecco, più che il fegato....>>, commenta in aula. La perplessità rimane tutta. Possibile che due esperti rianimatori, pur eccitati dal desiderio di salvare un uomo (già morto), gli facciano a pezzi il fegato tanto da far uscire poco meno di mezzo litro di sangue? La rianimazione (sul cuore) durò almeno venti minuti. E qui sta l'altro punto debole. Non ve n'è traccia.

Il video che non c'è
. Il carcere ha ovviamente un sistema di telesorveglianza. Non riprende in maniera continuativa; lo fa a spezzoni. Ma sicuramente non a intervalli di venti minuti, altrimenti il carcere di Capanne sarebbe un colabrodo di evasioni o atti illegali consumati al riparo di occhi indiscreti. Eppure, tra tutte le immagini acquisite di quella maledetta notte, non vi è un solo fotogramma in cui appaia Bianzino nel corridoio dove si cercò di rianimarlo. Può darsi che Giuseppe Bianzino sia un uomo ottenebrato dal dolore, che veda nero dov'è bianco o ingrandisca e diminuisca a suo piacere. Ma i fatti sono fatti. Sia quando ci sono, come il sangue fuoriuscito, sia quando non ci sono (l'aneurisma o i fotogrammi del carcere). Quello che c'è in abbondanza sono gli elementi per cui quel caso dovrebbe uscire dalla casella “archiviato” dove è stato, forse troppo rapidamente, riposto.

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