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domenica 20 gennaio 2013

ROMPICAPO AMERICANO

Per adesso gli americani stanno alla finestra. Guerra senza frontiere ai terroristi, logistica e intelligence ma dalla poltrona di casa. Leon Panetta è stato chiaro: Washington intraprenderà «tutti i passi necessari per proteggere gli americani» ma resta da decidere se si tradurranno o meno «in un'assistenza ad altri nelle operazioni militari o in una collaborazione nella messa a punto di operazioni nella zona». Il segretario alla Difesa aveva già escluso missioni di terra, facendo eco al Dipartimento di Stato: «Stiamo valutando le richieste», aveva detto lunedi scorso la portavoce Victoria Nuland, aggiungendo però che Washington non era dell'idea di sostenere direttamente i soldati del Mali prima che un processo democratico avesse fatto pulizia del golpe militare. Tutte voci all'unisono? Non proprio.

A tutta prima sembrerebbe che l'opzione scelta da Obama sia quella di dare una mano e forse anche due ma senza sporcarle. In questo senso andrebbe il progetto di una lunga visita nei Paesi africani che prevede diversi stop in altrettante democrazie del continente. Stare alla finestra infatti non vuol dire stare a guardare in un pianeta dove, oltre alla minaccia qaeduista, si fa sentire la concorrenza cinese. Ma se nell'amministrazione c'è chi pensa che un ruolo troppo diretto degli Stati uniti potrebbe alimentare anziché frenare la propaganda jihadista, non tutti la pensano così. Bruce Hoffman, influente specialista di terrorismo vicino alla Rand Corporation, citato ieri dal Wall Street Journal, la vede in modo opposto: “In Libia ci siamo mossi da dietro ma non penso che i risultati a lungo termine si siano rivelati a nostro vantaggio. Quel che è successo ha lasciato un Paese instabile che poi ha creato nuovi problemi. Non penso che dovremmo ripetere l'esperienza in Mali o Algeria”. Potrebbe essere una voce isolata oppure segnalare che non tutti sono d'accordo con la posizione sino ad ora assunta da Washington.

Inoltre il capo della Difesa americana è a fine mandato: il suo sostituto Chuck Hagel, dovrebbe subentrargli a metà febbraio e nessuno fa mistero del fatto che l'uomo che ha sconfitto bin Laden e che è stato a capo della Cia, avrebbe preferito non sorbirsi questa grana. Un suo collaboratore ha confidato al New York Times che Panetta avrebbe voluto lasciare già dopo il lavoro alla Cia.

Adesso però deve decidere se seguire l'orientamento soft indicato dalla Casa bianca o spingere sull'acceleratore. Nei due casi rischia di sbagliare. A quanto si dice la Cia vorrebbe espandere la politica dei droni ritenuta un successo in Pakistan, Yemen e Somalia. Qualcosa in più dunque del semplice sostegno logistico ai francesi. Si tratterebbe in sostanza di spostare gli uffici di pilotaggio in un Paese “amico” da cui spiare i deserti maliani. L'Europa non sarà un problema ma l'Algeria si. E non solo per la crisi degli ostaggi. Gli americani hanno già fatto avance chiedendo da tempo il permesso di sorvolo per missioni di ricognizione a lungo raggio. Che Algeri avrebbe negato in più di un'occasione, promettendo di concederlo solo se avesse potuto condividere le informazioni raccolte dagli americani, che hanno rifiutato temendo fughe di notizie. Una vecchia grana che adesso è esplosa.

Nondimeno, secondo il Washington Post, gli Usa sono diventati “dipendenti” dalle informazioni raccolte dagli algerini, gli unici ad avere cognizione della costellazione jihadista nordafricana. Gli algerini inoltre, estremamente cauti sulla vicenda maliana, hanno fatto agli americani un altro sgarbo, negando loro di mettere in piedi a Tamanrasset, dov'era stato istituito una sorta di centro di monitoraggio condiviso con maliani,nigeriani e mauritani, una postazione permanente stellestrisce.

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