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martedì 12 marzo 2013

GREEN ON BLUE E ALTRO

Mentre l'ennesimo scontro al calor bianco tra Washington e Kabul strizza la corda già tesa dei rapporti tra le due capitali, un episodio che solo apparentemente rientra nella routine della guerra afgana esplode a Wardak, la provincia che costituisce una sorta di periferia della capitale e che è uno dei nodi del nervosismo tra Usa e Afghanistan.
Le cronache ancora non perfettamente precise raccontano che un poliziotto afgano, o qualcuno vestito con quella divisa, ha aperto il fuoco in un centro di addestramento militare nel distretto di Jalryz, provincia di Wardak. In quel centro ci sono afgani e americani e, tra gli americani, anche uomini delle “forze speciali”, nell'occhio del ciclone dopo alcuni episodi controversi all'origine di una richiesta di Karzai perché abbandonino la provincia. Il poliziotto spara sembra con un mitragliatore e fa una strage: cinque commando, due americani e tre afgani, cadono sotto i suoi colpi. Una dozzina di commilitoni, o forse anche una ventina, vengono feriti. L'uomo in divisa viene rapidamente abbattuto. I numeri sono incerti, dal numero degli attentatori (uno o più) a quello dei feriti.

Raccontata così sembra l'ennesima storia riconducibile la cosiddetto “green on blue”, dal colore (più o meno) delle divise dei soldati (green gli afgani, blu gli internazionali). Ma questa volta, oltre a un fenomeno in crescita, la cosa si complica e si confonde con l'accusa di Karzai di un paio di settimane fa alle forze speciali americane di aver compiuto o diretto, con l'aiuto di miliziani afgani, operazioni anti guerriglia con mano pesante. Karzai ha anche chiesto che da Wardak se ne vadano.

Come se non bastasse, il caso esplode proprio mentre di Wardak hanno appena parlato a palazzo Hamid Karzai e Chuck Hagel, neo segretario alla Difesa in visita ufficiale, cui è toccato ieri smentire direttamente al presidente possibili “back channel” americani coi talebani. Il giorno prima Karzai aveva lanciato l'accusa sostenendo che statunitensi ed europei stavano trattando in segreto a Doha coi turbanti dopo aver tagliato fuori Kabul. Hagel ha risposto la frase di rito: “senza gli afgani nessuna trattativa”, ma Karzai sembra aver messo un altro colpo a segno. Costringere Hagel a smentire è stata un abile mossa in un momento di nervosismo elevato tra Washington e Kabul tant'è che la conferenza stampa congiunta dopo il colloquio dei due è saltata. Motivi di sicurezza? Non solo. Ci sono parecchi nodi da sciogliere a cominciare proprio dalle polemiche sulle forze speciali, sul passaggio di giurisdizione dei detenuti, sul destino della basi, sul numero di soldati che resteranno in Afghanistan e sulle vittime civili. Che continuano a morire: ieri due meccanici sono stati uccisi da soldati americani per errore nei pressi della capitale perché si erano avvicinati troppo a un loro convoglio. E sempre ieri a Kabul il Transitional Justice Coordination Group (coalizione di associazioni della società civile) ha lanciato l'allarme: andare avanti così non aiuta la pace ma a destabilizzare il Paese.

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