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giovedì 25 aprile 2013

QUANDO FECI L'AUTISTA DI RICHIE


Qualche giorno fa Richie Evans, quel grosso negrone che infiammò Woodstock col suo celeberrimo Freedom, se n'è andato per un infarto. Non ne dubito perché l'uomo metteva così tanta passione nei suoi concerti che molto spesso doveva averlo sfidato. Accadde anche una volta che eravamo assieme, se non ricordo male, negli anni Ottanta. Lui era il mito di Woodstock che non aveva mai ceduto alle paillettes dello showbiz e quindi era poco conosciuto nell'Italietta già devota alla disco, io facevo il suo autista. Pilotavo un pulmino Wolskswagen che lo trasportava con la band in giro per il Belpaese. Fu una tournée di una settimana e macinammo migliaia di chilometri. Scambiammo pochissime parole. Mi pagarono bene, subito e in contanti che si trasformarono poi immediatamente in un viaggetto.

Non posso qui ricordarlo come ha fatto molto bene, ad esempio, Stefano Crippa su il manifesto di mercoledi, ma posso dire di cos'era vedere cantare quel mostro. Col caffetano colorato, il pollicione con cui faceva quegli accordi strampalati sulla chitarra che altrimenti suonava anche “aperta”, plettrando sulle corde libere di acustiche amplificate, Richie si dedicava anima e corpo, ci fossero mille – o come spesso accadeva – solo centinaia di persone. Il pezzo forte era Freedom e trascinava di brutto. Ce ne capitarono di tutti i colori compreso una specie di principio d'incendio che scatenò il panico in sala con gli organizzatori che si erano dati e toccò a me, che come autista contavo meno di zero, fare appello alle mie doti di concionatore di assemblea per riportare la calma scippando il microfono alla band per tenere gli animi calmi.

Avevo l'impressione che Richie fosse oltre, che nemmeno si accorgesse di quanto capitava. Lui partiva con la sua chitarra, la voce dannatamente roca, il dannatissimo Freedom gridato in mezzo a una folla che forse solo in parte ne conosceva la provenienza storica: quel grande raduno che aveva consacrato Richie e che noi ragazzotti vedevamo a ripetizione - trasformato in film – nella sala del cinema Abanella di Milano tra effluvi di resine orientali (all'epoca nelle sale si poteva fumare).

Una sera però
Richie ci diede dentro così tanto che gli venne un mezzo infarto. Io, discreto conoscitore degli effetti delle droghe, sospettai cocaina ma soprattutto un eccesso di adrenalina che lo stava quasi ammazzando. Da bravo autista lo riportai in albergo e Richie, che allora mi sembrava già vecchio ma aveva in realtà solo 12 anni più di me, si riprese in una notte per la prossima fermata. Sapeva gestire la velocità del suo sangue. Lo apprezzai molto di più – anche per quella carica umana che metteva nei concerti - di quanto non avessi fatto e facevo all'Abanella dove, come ho già raccontato, i nostri must erano divisi tra Woodstock, Il laureato, Comma 22 e il grandissimo Cavalieri selvaggi, che già preludeva a questo blog dedicato all'Afghanistan. Ma questa è un'altra storia. Ciao Richie, il tuo autista italiano ti manda un abbraccio.

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