
Tra i due eventi c'è un nesso fin troppo evidente e che proprio ieri, sul New York Times, giornale di un grande Paese del tessile che delocalizza molto lavoro, era al centro di un'inchiesta che approfondiva la reazione di chi ha investito, negli ultimi trent'anni, nelle fabbriche e nel lavoro a poco prezzo dei Paesi più o meno sviluppati. E che ora, in fuga dal Bangladesh, cerca altre strade. La Cambogia ad esempio. In questo Paese, vessato dalla guerra e retrovia storico del Vietnam che lo occupò a fine anni Settanta, i salari non sono a livello del Bangladesh ma comunque al di sotto dei 100 euro/mese per i 650mila operai del settore. Le leggi, come in Bangladesh, ci sono. Pochi le rispettano.
Al Nyt Bennett Model, a capo di una “fashion factory” di New York, spiega che accostare un prodotto al nome Bangladesh è oggi “politicamente scorretto”. Per questo molti guardano altrove. E non da oggi. Model iniziò a lavorare coi cinesi nel 1975, un lustro prima che si avviasse il boom del settore in Bangladesh dove il tessile occupa oltre due terzi dell'export. Vietnam e Cambogia sono i Paesi più gettonati perché tutto sommato l'Asia resta il luogo preferito, sia per la capacità della manodopera, sia per la lunga tradizione tessile (che la rivoluzione industriale mise in crisi con i telai meccanici) sia per la reperibilità di materia prima. Anche India e Pakistan figurano nella lista per la loro capacità, tra l'altro, di garantire sistemi industriali di confezione, impacchettamento, spedizione.
L'Indonesia sembra però il preferito di questa nuova “colonizzazione”. Con l'eredità della dittatura ormai alla spalle, produce ottimo cotone (kapok) e ha già una lunga esperienza nella produzione concentratasi a Giava e Bali. Politicamente corretta e con bassi salari, per chi fugge dalla Cina (troppo cara), o da tentativi in America latina e Africa (lente nella produzione), l'Indonesia è la terra promessa: il centro di formazione di Semarang ad esempio forma 12mila persone l'anno. Poco in un Paese dove stanno per aprire 4 nuove fabbriche con 30mila nuovi posti di lavoro.
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