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sabato 8 giugno 2013

AFGHANISTAN, LA LEZIONE DEL PRINCIPE DI SALINA

Cambiare tutto perché nulla cambi. La sentenza del principe di Salina è valida ancora oggi per mille situazioni e l'Afghanistan non fa difetto. Perché? Posto qui di seguito una sintesi di Giuliano Battiston uscita sul manifesto di ieri e su Lettera22 che riguarda la “nuova” missione della Nato Dopo il vertice interministeriale che si è tenuto il 4 e 5 giugno a Bruxelles (50 ministri della Difesa, provenienti dai 28 paesi membri della Nato e dai 22 paesi “non-Nato” che attualmente contribuiscono alla missione “Isaf” in Afghanistan):

...gli Stati Uniti continueranno a essere il paese che più contribuisce in termini militari alla missione Nato in Afghanistan. Ma ha voluto (Hagel ndr) sottolineare il sostegno ricevuto dall’Italia e della Germania: “apprezziamo gli impegni che altre nazioni stanno assumendo – ha dichiarato -, inclusi gli annunci fatti dalla Germania e dall’Italia secondo i quali assumeranno il compito di nazioni-guida per le aree settentrionali e occidentali”. Il “Concept of Operations” della missione “Resolute Support” adottato due giorni fa a Bruxelles prevede infatti la divisione dell’Afghanistan in diverse aree geografiche di competenza: agli Stati Uniti spetterà la responsabilità delle attività nelle aree meridionali e orientali (le più insicure); alla Germania l’area settentrionale, dove è attiva da anni; all’Italia la parte occidentale, dove attualmente ha la responsabilità del comando-ovest della missione Isaf (il comando comprende le province di Herat, Farah, Badghis e Ghor). Secondo il capo del Pentagono, la Turchia starebbe “considerando favorevolmente” l’ipotesi di gestire le attività nell’area centrale attorno a Kabul (sarebbero cinque i punti nevralgici della provincia di Kabul interessati dalla nuova missione).

Come ben si vede tutto cambia ma in realtà non cambia nulla. L'Italia è già al comando nell'Ovest e la Germania nel Nord. Gli Stati uniti (e la Gran Bretagna qui non menzionata) già lo sono al Sud e nell'Oriente afgano. L'unica novità sono i turchi per ora ancora cauti e che potrebbero anche cambiare idea dopo che, da quella decisione in avanti, son diventati anch'essi un target dei talebani. Il topolino partorito dalla montagna della Nato è che ci saranno meno soldati e che non saranno “combat” ma solo addestratori (il nome della missione è Resolute Support). Ma dal punto di vista politico non c'è assolutamente nulla. La Nato e i ministri e governi dei Paesi che compongono l'Alleanza non ne vogliono sapere di ammettere due cose: che dal punto di vista militare la missione ha fallito e che dal punto di vista politico 12 anni di guerra non hanno fatto fare un passo avanti. La Nato vuole continuare a stare in sella da sola, a presidiare - a 5mila chilometri da casa - territori che appartengono a un altro continente. Nel violare la sua stessa carta, la Nato non vuole ammettere che il suo tempo politico è finito in Afghanistan (per me già da tempo senza contare che considero la scelta Nato un peccato originale che andava evitato).

Che fare? Non mi stanco di proporre una soluzione politica allargata che includa le maggiori alleanze regionali (come la Conferenza di Shangai o Sco) e musulmane (la Organizzazione per la Conferenza islamica o Oic e forse anche al Lega araba) che sotto cappello Onu garantiscano forze di interposizione per salvaguardare la transizione. Occorrerebbe un meccanismo più forte del cosiddetto processo di Istanbul guidato dalla Turchia e che dia mandato per una presenza di peacekeepeer internazionali. La Nato ci potrebbe stare, anzi dovrebbe, ma solo come una delle componenti e non certo la “leading”. Ciò la renderebbe digeribile e le farebbe fare un passo avanti politico. Ma ciò si scontra non solo con le resistenze particolari dell'Alleanza, ma coi voleri degli americani e l'inerzia degli europei: con la mancanza di una visione globale di servizio all'Afghanistan e non la mera conservazione di un interesse strategico da nuova edizione del Great Game. Una miopia che riguarda senza mezzi termini anche il mio Paese.

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