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mercoledì 19 giugno 2013

PASSAGGIO DI MANO A KABUL, INCOGNITE A DOHA, PEOCCUPAZIONI A ROMA

Il 18 giugno potrebbe essere ricordato nella storia afgana come un giorno davvero particolare. E non solo perché ieri, formalmente, la gestione della sicurezza è passata dalla Nato a esercito e polizia locale, ma anche perché la notizia dell'apertura di un ufficio politico dei talebani in Qatar è stata accompagnata da un profluvio di altre notizie inneggianti a una svolta imminente per il processo di pace, nuova speranza in fondo al tunnel. Un'analisi distaccata invita però a raffreddare speranze negoziali troppe volte annunciate ma rimaste pie intenzioni. Tutto questo mentre in Italia una delegazione della società civile afgana è stata ricevuta alla Camera da oltre venti parlamentari a cui è stata espressa la preoccupazione che l'uscita di scena definitiva della Nato nel 2014 equivalga anche un oblio politico. Che – dicono gli afgani – non riprecipiterà il Paese nel caos ma rischia di lasciarlo in balia dei suoi potenti vicini, attori consolidati di una moderna riedizione del “Grande gioco”.

La Nato a Kabul


La quinta fase del passaggio di consegne mette da ieri in mano agli afgani il “90% delle operazioni militari”, spiega con enfasi il segretario della Nato Rasmussen secondo cui, entro il 2014, il passaggio sarà completato, nel momento in cui la stragrande maggioranza delle forze occidentali saranno tornate a casa. Restano ombre tutte da chiarire. Chi e quanti resteranno, dove, come. E appare bizzarro che proprio nel giorno del passaggio di mano, si venga a sapere che un raid Nato avrebbe ucciso tre ragazzini nel distretto di Baraki Barak, provincia di Logar. Resta poi tutta l'incognita politica su cui si interrogano cittadini e analisti. Uno di questi è Ahmad Joyenda, invitato dalla Rete Afgana all'incontro con i parlamentari convocato dalla Pd Federica Mogherini e cui hanno partecipato Pd, Sel e 5stelle.

Afgani a Roma


Joyenda, direttore di un prestigioso centro di ricerca (Areu), ex parlamentare e noto a Kabul come il “Papà della società civile” (ha 62 anni ed è tra i membri dell'intellighenzia a non aver mai lasciato il Paese), spiega che gli afgani non si aspettano il caos: “Abbiamo 350mila soldati e poliziotti e i sondaggi dicono che il consenso ai talebani è del 7%. La vera preoccupazione del 93% degli afgani è l'ingerenza di Iran e Pakistan nei nostri affari”. Uno spettro che, a torto o a ragione, gli afgani pensano possa essere scacciato dalla presenza occidentale. Nell'incontro Giulio Marcon (tra l'altro tra i fondatori di Afgana nel 2007) fa le pulci a una missione che continua a far parte di un'alleanza di parte e rilancia il ruolo dell'Onu augurandosi un «cambio di paradigma e il superamento di una pigrizia politica che ci impedisce di trovare soluzioni diverse nelle aree di conflitto». Mogherini, da sempre attenta alle vicende afgane, promette un «impegno non solo sull'investimento non militare ma proprio sul rafforzamento della società civile». E il 5stelle Artini fa sua la proposta di reinvestire il 30% del risparmio ottenuto dal ritiro militare in attività di cooperazione.

Talebani a Doha

Intanto a Doha
qualcosa di muove anche se per ora la montagna ha partorito un topolino. Da un anno si discute dell'apertura dell'ufficio dei talebani che adesso è realtà. In un comunicato teletrasmesso Mohammed Naim, portavoce dell'ufficio, dice che la guerriglia in turbante vuol parlare agli afgani e non vuole coinvolgere altri Paesi, messaggio che però non cancella gli insulti con cui fino a ieri -a parole e a suon di stragi – ha preso di mira Karzai, “puppet” degli americani. I quali fanno sapere – scrive la Bbc - che negoziati diretti tra loro e la guerriglia sono imminenti. Una sorta di trilaterale o di bilaterale ancora tutta da definire che ognuno pare interpretare a modo suo: Karzai, che della cosa ha parlato durante la cerimonia con Rasmussen per il passaggio di consegne, ha detto di aver mandato in Qatar emissari dell'Alto consiglio di Pace (con cui i talebani si son sempre rifiutati di parlare) e che anche a suo avviso il dialogo deve essere solo interafgano escludendo terzi. Karzai pensa al Pakistan? O agli americani? O all'Iran dove i talebani sono appena stati in delegazione? Per ora in fondo al tunnel la luce è davvero tenue. A tenere acceso quel fioco lume c'è sullo sfondo il potente emiro del Qatar.
Lettera22

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