L'eredità
politica che il presidente afgano vorrebbe lasciarsi alle spalle e i
progetti per il futuro
Nei
giorni scorsi, lunedi 18 febbraio, dal palazzo presidenziale dove
ormai Hamid Karzai conta alla rovescia il tempo che lo separa dalle
presidenziali afgane del 5 aprile, è arrivato uno stop
deciso all'ultima riforma del nuovo codice di procedura penale. Il
disegno di legge, già approvato dai due rami del parlamento e cui
manca solo la firma del presidente, è entrato nell'occhio del
ciclone quando il testo è stato reso noto. Le organizzazioni afgane
per i diritti di genere, e pilastri dei diritti umani come Human
Rights Watch, hanno bollato la legge di oscurantismo e vero e proprio
lasciapassare per gli abusi contro le donne, visto che uno dei
capitoli sentenzia che i parenti degli imputati non possono essere
testimoni a carico: dal momento che la maggior parte degli abusi di
genere – dalla violenza al matrimonio forzato - avviene tra le
pareti domestiche, se si escludono le testimonianze dei parenti,
l'accusato non può che farla franca.
Il
palazzo però ha fatto la voce grossa. Lo stesso palazzo che approvò
anni fa, nonostante le polemiche, la famosa legge sul diritto di
famiglia degli sciiti (che riconosceva di fatto lo stupro
intra-familiare) e che, mesi addietro, non si è fatto per nulla
sentire a favore del decreto legge sui diritti delle donne (Evaw),
messo sotto accusa del parlamento che tuttora vuole emendarlo. Che il
presidente abbia e abbia sempre avuto una politica ambigua, con un
occhio agli alleati e uno al consenso interno anche delle frange più
conservatrici, non è una novità. Ma questa volta è in gioco
qualcosa di diverso. Karzai sta per lasciare il suo incarico dopo
essere stato l'unico presidente dell'Afghanistan dalla caduta dei
talebani, un uomo che, attraverso un interim e due mandati popolari,
si configura come uno dei capi di Stato più longevi: ha trattato con
Bush e con Obama, visto l'intera parabola di Ahmadinejad, stretto la
mano di Musharraf e Nawaz Sharif, conosciuto premier e presidenti
europei pochi dei quali sono sopravvissuti al primo mandato e nessuno
dei quali ha goduto in sovrappiù del periodo di grazia che
inizialmente a Karzai fu garantito dal vuoto lasciato dalla caduta
dei talebani nel 2001.
Sulla
cresta dell'onda da quasi tre lustri, ormai navigato politico
internazionale, Karzai sembra essersi liberato dalla sindrome del
“sindaco di Kabul” come per anni è stato chiamato. Ma forse
soffre ora di qualche altro rovello che potrebbe spiegare le sue
ultime clamorose azioni (o inazioni): dalla mancata firma
dell'accordo di partenariato con gli Stati Uniti (Bsa o Bilateral
Security Agreement) per finire con lo stop al codice di procedura
penale, passando per la liberazione di una sessantina di prigionieri
politici, considerati “pericolosi” dagli americani che li avevano
in custodia e vittime dal comitato, voluto da Karzai, che ne ha
deciso la controversa scarcerazione. Per non parlare della condanna
per l'uccisione del comandante talebano Abdul Raquib.
Cosa
si nasconde dietro a un'apparente volubilità che alcuni
attribuiscono a un azzardo del carattere se non addirittura a forme
psicotiche? Quale disegno ha in mente il presidente per il futuro?
Qual è il dopo-Karzai, immaginato da Karzai?
Da sinistra Ahmad Shah Durrani, il fondatore l'ideatore di un'Afghanistan nazione. Al centro Shah Shuja. A destra Dost Muhammad |
Benefici
personali:
è la teoria avanzata da qualche giornalista. Il presidente farebbe
il muso duro per ottenere carta verde e permesso di soggiorno negli
Stati Uniti. Un'altra è che invece abbia semplicemente paura e, vada
come vada, intenda rifugiarsi all'estero, se non in America, forse in
Turchia, agendo dunque per mettersi al riparo dalle vendette
talebane. Ipotesi poco convincenti.
mullah Omar |
Arma
negoziale:
è un ipotesi nata con le voci di colloqui segreti tra il presidente
e gli uomini di mullah Omar. Irrigidire la posizione arrivando al
punto di dichiarare «Se
gli americani vogliono andarsene, vadano»
può essere il tassello di una tattica di ammorbidimento dei
talebani. Ma la partita negoziale con la guerriglia c'entra col Bsa
fino a un certo punto. I talebani considerano comunque Karzai il
“puppet” degli americani e non basta una dichiarazione a far loro
cambiare idea. Quanto ai colloqui, probabilmente i canali sono sempre
stati aperti ma è altrettanto noto che che non si sono ancora
spalancati del tutto anche se qualche segnale c'è.
Re Amanullah, il monarca riformatore cacciato dai mullah |
Sovranità
nazionale ed eredità politica:
è noto che Karzai ha letto con grande interesse il recente saggio di
William Dalrymple su Shah Shuja (Return
of a King: The Battle for Afghanistan),
il
monarca afgano che agli inizi del 1800, vinto in casa dai nemici che
ne volevano il trono e riparato in India, fu poi reinsediato dal Raj
britannico a capo del “forbidden Kingdom”. La sconfitta di Dost
Muhammad e il reinsediamento di Shah Shuja avevano avuto però un
costo pesante: la firma di due trattati di amicizia con gli odiati
britannici che metteva la mordacchia alla politica estera
dell'Afghanistan e che costarono la prima guerra anglo afgana. Oltre
alla morte di Shah Shuja nel 1842. A questa si potrebbe aggiungere la
“sindrome di Gandamak”, il
luogo in cui nel 1879 fu firmato da Yaqub Khan un altro patto
aglo-britannico che
stabiliva
«eterna
pace e amicizia»
tra il regno e l'Impero, ma soprattutto che la politica estera degli
afgani avrebbe seguito i dettami del "Great Game",
ossessione britannica dell'epoca. Non
solo Karzai non vuole essere associato a Shah Shuja o Yaqub Khan, ma
ha giocato la partita così abilmente da riuscire a dimostrare che
sono più gli americani ad avere bisogno del Bsa che non gli afgani,
come hanno mostrato le pressioni esterne di questi mesi.
L'ultima telefonata di Obama a Karzai, cui ha minacciato l'”opzione
zero” se il Bsa non viene firmato (il ritiro cioè di tutti i
soldati Usa e Nato alla fine del 2014), lo conferma. E'
una nuova verginità politica e l'incarnazione dello spirito
nazionalpatriottico che piace anche all'uomo della strada, persino a
chi non ha mai amato il presidente (e che potrebbe rifarsi allo spirito di re Amanullah).
Si fa presto a dire futuro... |
Il
dopo dopo-Karzai:
le ultime due ipotesi (negoziato ed eredità politica) si legano a un
possibile calcolo sul futuro di cui si sono già fatte parecchie
speculazioni assai prima che iniziasse la campagna elettorale. Molti
osservatori paventavano un rinvio delle presidenziali, motivato da
ragioni di sicurezza o accesso alle urne che avrebbe allungato i
giochi di Karzai. Ma il presidente non ha mai dato segni consistenti
di un simile calcolo che per altro lo avrebbe messo in cattiva luce.
Più convincente l'ipotesi che Karzai stia preparandosi un ruolo di
alto consigliere del futuro presidente (che potrebbe facilmente
essere un “suo” uomo) per poi arare il terreno di un eventuale
nuovo mandato alla scadenza dei quattro anni previsti dalla
Costituzione. Nessuno infatti potrebbe impedirglielo e non è un caso
se, tra chi corre, c'è anche suo fratello. In realtà Qayum Karzai
non ha molte chance di farcela e sembra piuttosto uno specchietto per
le allodole,
tanto
che ora Qayum e Zalmai Rassoul (altro candidato di Karzai) hanno
deciso che uno dei due non correrà, travasando i suoi voti
sull'altro. Anche Wardak, altro sodale di Karzai, potrebbe confluire. Infine c'è Ashraf Ghani,
che gode dell'appoggio sicuro del voto delle
regioni del Nord- Nordovest (grazie alla vicepresidenza affidata a
Dostum) e dei favori della comunità internazionale. Karzai potrebbe
traghettare verso di lui buona parte del voto pashtun, specie al
secondo turno. Al netto di possibili brogli, è un gioco politico che
ha una sua ragion d'essere.
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