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giovedì 30 aprile 2015

Pena di morte. Il brutto passo indietro di Joko Widodo

Dieci condanne a morte ma in due la scampano
Il giorno dopo l'esecuzione di otto condannati per narcotraffico, una marea di durissime reazioni travolge l'Indonesia della linea dura sul problema droghe e tossicodipendenze. Alla mezzanotte di martedi otto tra i nove che aspettavano nel braccio della morte (all'ultimo la filippina Mary Veloso è stata risparmiata) sono andati davanti al plotone di esecuzione. E ieri mattina le loro bare bianche erano già nella terra rossiccia di Cilacap, a Giava. «Noi rispettiamo la sovranità indonesiana ma, deplorando quel che è successo, non possiamo considerarlo un atto qualsiasi», tuona il premier australiano Tony Abbott e ritira l'ambasciatore. E' il seguito a una mossa simile da parte di Brasilia ma che, nel caso dell'Australia, ha peso ben maggiore. E' il vicino più potente, una pronta cassa se ci sono necessità, un partner economico di primo livello. Si era già fatto ben sentire Abbott per il caso di Andrew Chan e Myuran Sukumaran, i due australiani giustiziati sodali della cosiddetta banda “Bali Nine”, un gruppo di narcotrafficanti arrestati all'aeroporto di Bali nell'aprile del 2005 mentre tentavano di far passare 8,3 chili di “bianca” in rotta per l'Australia. Ce ne sono altri sette della banda nelle galere indonesiane – tutti australiani – ma solo per Andrew e Myuram è stata decisa la pena di morte. Con molti se e molti ma e non solo di carattere umanitario: un loro ex legale ha rivelato di un maneggio di soldi che avrebbe dovuto riservare loro un trattamento di favore. Ma il tribunale si è rifiutato di indagare i magistrati.



Con l'Australia i rapporti son così tesi che la corda rischia di spezzarsi. Prima dell'esecuzione la titolare degli
Esteri Julie Bishop aveva minacciato, pur senza entrare nei dettagli, «conseguenze», ma proprio ieri il vice presidente  Jusuf Kalla ha risposto senza tante cerimonie. Ha ricordato che anche l'Indonesia ha ritirato una volta il suo ambasciatore (nel 2013 per una vicenda di spionaggio) e  che a perderci in una crisi tra i due Paesi sarebbero gli australiani, che vendono per 1,7 miliardi mentre comprano per soli 547,3 milioni. Un modo assai poco diplomatico di calmare le acque.

Joko Widodo, il neo presidente riformista che gode di un largo consenso basato sul suo passato di buon amministratore pubblico, non ha voluto ascoltare né le suppliche di Abbott né le pressioni di Brasilia né l'appello di Ban ki-moon o le polemiche sollevate da Amnesty International. Quanto alla Nigeria, poca audience per i quattro trafficanti che sono evidentemente pesci piccoli. Per non parlare di Zainal Abidin bin Mahmud Badarudin, 50 anni, nazionalità indonesiana, arrestato nel 2000 con in casa 59 chili di erba: tanta roba certo, ma solo marijuana. A difenderlo solo un silenzio ingombrante come quello che ha circondato i nigeriani, corrieri di droghe pesanti.

Il problema in Indonesia è proprio che la differenza tra droghe non esiste e, peggio ancora, anziché mirare a ridurre il danno investendo in sanità pubblica, la legge punisce allo stesso modo chi traffica e chi consuma. E quando le leggi sono così dure – una tradizione di questa fetta di mondo dalla Malaysia a Singapore - è facile riempire le galere, diffondere Hiv, arrivare alla pena capitale e rientrare nell'odioso novero dei Paesi che ancora la praticano.

Joko "Jokowi" Widodo. 
Sopra a dx il premer australiano
Tony Abbott
Cosa ha spinto Widodo a tenere il punto è una domanda senza risposta: la giustificazione – come ha detto in un'intervista ad Al Jazeera – è che questa è l'unica via per combattere un'emergenza che vede 4,5 milioni di persone in cura per disintossicarsi e un altro milione e mezzo che non è in grado di essere curato. Pugno di ferro dunque e un'indicazione precisa alla magistratura che oggi lo spalleggia come, a esecuzione terminata, ha spiegato il procuratore generale Muhammad Prasetyo: «Lo abbiamo fatto per salvare il Paese dal pericolo delle droghe. Non vogliamo inimicizia con le nazioni da cui provengono i trafficanti ma dobbiamo però combattere i crimini che commettono». Ormai però i nemici son tanti: Australia, Brasile, Nigeria e forse anche la Francia. Parigi si sta dando da fare per salvare Serge Atlaoui, condannato a morte per traffico di stupefacenti e che, almeno per questo giro, l'ha scampata. Lo stesso Hollande si è fatto sentire. Mentre la stampa d'oltralpe ricorda che anche Giacarta ha i suoi scheletri nell'armadio, come quando - aprile 2014 – il governo ha pagato 1,7 milioni di euro a una famiglia saudita perché accordasse il perdono a un domestico che aveva ucciso il suo padrone. Ma Widodo in aprile non era ancora in carica: c'era ancora l'ex generale Susilo Bambang Yudhoyono che aveva scelto di cambiare rotta rispetto al precedente governo di Abdurrahman Wahid che aveva invece deciso che il nodo droghe doveva essere trattato come un problema sanitario, non certo criminale. Un brutto passo indietro seguito anche da Joko Widodo.

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