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lunedì 21 dicembre 2015

Mario, il bosco e il risotto (alla miladonderiese)

Furbetti del quartierino (nel bosco):
 Mario Dondero e Monika Bulaj
Complice l'autunno ancora mite del 2013 eravamo andati nel bosco. Monika Bulaj, Mario Dondero ed io: a Crema, bassa padana, nebbie (sempre meno presenti) e odore di funghi, profumi di risotti con lo zafferano e, ovviamente, col midollo. Mario aveva una teoria speciale per il risotto alla milanese sul quale si riteneva, non a torto, un maître indiscusso. Prima di tutto il midollo, acquisito nella macelleria di Erminio dove era avvenuto da poco un scambio in natura: midollo e salsiccia contro la foto di un esemplare stupefacente di razza chianina nella quale il bestione sopravanza l'uomo che lo tiene legato. Una foto che tutti i macellai d'Europa hanno visto sulle riviste dedicate e che è uno dei tanti capolavori “minori” di Mario. Dopo il midollo, la cipolla bianca tagliata un po' grossa va rosolata in... olio di semi. Si, di semi, perché il risotto va avvolto in quel condimento proletario snobbato dagli chef. Infine lo zafferano (due bustine), a fine cottura, amalgamato nel burro e parmigiano.

Riesco a ricordare Mario Dondero solo così. Anche perché il ricordo dell'uomo non è mai distinto dal fotografo. E il ricordo del maestro dello scatto non è mai disgiunto dalla sua curiosa e golosa umanità. Nelle piccole e grandi foto. Grandi come quella sul Nouveau roman, che gli diede fama internazionale, piccole come quella dell'enorme toro toscano. L'una coccolata dalle élite. L'altra adorata dai macellai. Entrambe scoperta di un'epoca, letteraria o culinaria. Sempre umana. Come l'uomo nel bosco che, prima del risotto, calzando stivaloni e impermeabile, libera dall'edera una pianta approfittando della linfa che, d'autunno, si ritira modesta in vista dell'inverno.

A Crema stavamo lavorando a “Lo scatto umano”, un libro che Laterza ci aveva chiesto dopo una fortunata produzione di chiacchierate radiofoniche sul fotogiornalismo in cui Mario, frugando tra i ricordi e ricomponendo un puzzle che si andava costruendo tra le due guerre mondiali, aveva messo insieme una breve storia dell'inizio di un lavoro mitico – quello del fotoreporter – cominciato a Budapest (lo avreste detto?) e poi diventato grande in Germania e da lì, inseguito dagli strali del nazismo (quei fotoreporter erano per lo più ebrei, ungheresi e comunisti), a Londra, Parigi, New York. Nel mettere assieme il libro, che era una storia del fotogiornalismo ma anche la summa dell'interpretazione di “Dondi”, io non ero altro che il dattilografo di un fiume in piena che andava, al più, contenuto. Era un lavoro poco impegnativo in realtà, sia per il fascino dei racconti, sia perché Mario aveva le idee chiarissime, sia perché intervallavamo la scrittura al risotto, al bosco, ad amene letture scovate nella biblioteca di casa. Come quel romanzo sulla vita di Casanova che aveva appassionato il Mario letterato e il Dondero dongiovanni. E viaggi, naturalmente. E “trattoriole”, come Mario le definiva. Penso così, che sulla strada per l'ignoto Mario si sia fermato in quella “formidabile trattoriola” che sta tra l'Inferno e il Paradiso. Dove fanno quel risotto... Mannaggia a San Pietro, senza l'olio di semi.


Questo articolo è uscito su Pagina99 in edicola per due settimane. Per gustarvi le foto di Monika Bulaj (il valore aggiunto di questo breve ricordo) dovete prendere il giornale

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