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domenica 8 gennaio 2017

Passioni (Radio3): sulle orme del Grande Gioco

“Passioni – Sulle orme del Grande Gioco”

In onda per due fine settimana il 7-8 gennaio e il 14-15 gennaio 2017 alle ore 14.30 sulle frequenze di Radio3


Ideato e condotto da Emanuele Giordana con la regia di Giulia Nucci. A cura di Cettina Flaccavento (per il podcast clicca qui)


Lungo tutto il 1800 il Regno Unito, o meglio l'Impero britannico, e la Russia, o meglio l’Impero degli Zar, combatterono una guerra molto particolare che ha preso il nome di Grande Gioco, Great Game o, alla russa, Torneo delle Ombre. Fu una guerra strana e in molti casi “fredda” e non solo perché si battagliava anche nelle steppe gelate dell’Asia centrale – come nelle torride pianure afgane - ma perché non venne mai combattuta direttamente e le battaglie furono spesso a colpi di spiate, tradimenti, complotti e non solo al suono delle trombe degli eserciti. La guerra si faceva comunque attraverso gli altri – gli afgani, gli uzbechi, i tagichi – e mai con uno scontro frontale. I due Imperi si spiavano con ogni mezzo: il Regno unito temeva un’invasione russa dell’India, la perla dell’Impero. Gli zar pensavano invece che l’Inghilterra, con la sua potente macchina economica e militare, potesse invadere, con soldati e commercianti, le terre su cui l’ombra di Pietroburgo si andava allargando a Est. In mezzo c’erano Stati come l’Afghanistan, vecchi imperi come quello persiano o – più a Nord - i canati dell’Asia centrale: Bukhara, Chiva, Samarcanda. Il viaggio sulle orme del Grande Gioco attraverserà dunque alcune delle principali città che furono il teatro di questo scontro tra titani. Cercando i segni di quella strana guerra combattuta in conto terzi e guardando anche a cosa sono diventate oggi: cosa c’è ancora di quel fascino che fece innamorare gentiluomini russi e mercanti inglesi, agenti indiani e funzionari della Compagnia delle indie, militari zaristi e fedeli ufficiali di Sua Maestà britannica? Un viaggio a Bukhara e Samarcanda, nel cuore dell’Asia Centrale; da Peshawar attraverso il passo di Khyber a Kabul, Herat, Jalalabad, città afgane oggi preda di un Nuovo Grande Gioco; e infine Pietroburgo, dove gli zar e i loro consiglieri studiavano ogni singola mossa di quel Torneo la cui ombra sembra sopravvivere al suo passato.

Sulle orme del Grande Gioco - Passioni del 7 gennaio 2017

Durante tutto l’Ottocento L’Impero britannico e quello zarista si spiarono con ogni mezzo: il Regno unito temeva un’invasione russa dell’India, la perla dell’Impero. Gli zar temevano invece che l’Inghilterra, con la sua potente macchina economica e militare, potesse mangiarsi le terre su cui l’ombra di Pietroburgo si andava allargando a Oriente. In mezzo a questo Grande Gioco c’erano Stati come l’Afghanistan, vecchi imperi come quello persiano o i canati del Nord: Bukhara, Chiva, Samarcanda. Il nostro viaggio sulle orme del Grat Game comincia proprio da Samarcanda, una città su cui Marco Buttino, il più importante studioso italiano dell’Asia Centrale, ha da poco dato alle stampe un saggio per i tipi di Viella che si intitola proprio Samarcanda.
Ci faremo anche aiutare con letture tratte da Il Grande Gioco di Peter Hopkirk e da Il ritorno di un re di William Dalrymple usciti in Italia per Adelphi

Sulle orme del Grande Gioco - Passioni dell’8 gennaio 2017

Ripercorrendo le tante strade del Grande Gioco, quella guerra “fredda”combattuta a migliaia di chilometri da casa da britannici e russi nell’Ottocento, l’Afghanistan è la tappa per eccellenza. Da Herat a Ovest o da Peshawar a Est - attraversando il passo di Khyber - eserciti, agenti segreti, spie camuffate da commercianti o viandanti, cercavano di guadagnare Kabul, il nodo del controllo delle grandi vie di accesso dall’Asia centrale all’India. Come sono oggi queste città? Ce lo racconta la principessa e Soraya Malek, nipote di quel re Amanullah che fu l’ultimo monarca afgano a subire la maledizione del Great Game. Ma ci faremo aiutare anche da scritti di storici dell’epoca e da due giornalisti: la fotografa e antropologa Monika Bulaj, che al Paese ha dedicato il volume Nur, la luce nascosta dell’Afghanistan, e dall’inviato de Il Messaggero Valerio Pellizzari che visse a Kabul durante l’occupazione sovietica negli anni Ottanta. E da due sacerdoti italiani, Caspani e Cagnacci, che scrissero un bellissimo saggio negli anni Cinquanta.

domenica 13 marzo 2016

Formidable!



Tre mesi fa esatti ci lasciava Mario Dondero che, in questo particolare da uno scatto di Monika Bulaj, sembra dire: "Formidabile". Eri formidabile Mario. E indimenticabile.

lunedì 21 dicembre 2015

Mario, il bosco e il risotto (alla miladonderiese)

Furbetti del quartierino (nel bosco):
 Mario Dondero e Monika Bulaj
Complice l'autunno ancora mite del 2013 eravamo andati nel bosco. Monika Bulaj, Mario Dondero ed io: a Crema, bassa padana, nebbie (sempre meno presenti) e odore di funghi, profumi di risotti con lo zafferano e, ovviamente, col midollo. Mario aveva una teoria speciale per il risotto alla milanese sul quale si riteneva, non a torto, un maître indiscusso. Prima di tutto il midollo, acquisito nella macelleria di Erminio dove era avvenuto da poco un scambio in natura: midollo e salsiccia contro la foto di un esemplare stupefacente di razza chianina nella quale il bestione sopravanza l'uomo che lo tiene legato. Una foto che tutti i macellai d'Europa hanno visto sulle riviste dedicate e che è uno dei tanti capolavori “minori” di Mario. Dopo il midollo, la cipolla bianca tagliata un po' grossa va rosolata in... olio di semi. Si, di semi, perché il risotto va avvolto in quel condimento proletario snobbato dagli chef. Infine lo zafferano (due bustine), a fine cottura, amalgamato nel burro e parmigiano.

Riesco a ricordare Mario Dondero solo così. Anche perché il ricordo dell'uomo non è mai distinto dal fotografo. E il ricordo del maestro dello scatto non è mai disgiunto dalla sua curiosa e golosa umanità. Nelle piccole e grandi foto. Grandi come quella sul Nouveau roman, che gli diede fama internazionale, piccole come quella dell'enorme toro toscano. L'una coccolata dalle élite. L'altra adorata dai macellai. Entrambe scoperta di un'epoca, letteraria o culinaria. Sempre umana. Come l'uomo nel bosco che, prima del risotto, calzando stivaloni e impermeabile, libera dall'edera una pianta approfittando della linfa che, d'autunno, si ritira modesta in vista dell'inverno.

A Crema stavamo lavorando a “Lo scatto umano”, un libro che Laterza ci aveva chiesto dopo una fortunata produzione di chiacchierate radiofoniche sul fotogiornalismo in cui Mario, frugando tra i ricordi e ricomponendo un puzzle che si andava costruendo tra le due guerre mondiali, aveva messo insieme una breve storia dell'inizio di un lavoro mitico – quello del fotoreporter – cominciato a Budapest (lo avreste detto?) e poi diventato grande in Germania e da lì, inseguito dagli strali del nazismo (quei fotoreporter erano per lo più ebrei, ungheresi e comunisti), a Londra, Parigi, New York. Nel mettere assieme il libro, che era una storia del fotogiornalismo ma anche la summa dell'interpretazione di “Dondi”, io non ero altro che il dattilografo di un fiume in piena che andava, al più, contenuto. Era un lavoro poco impegnativo in realtà, sia per il fascino dei racconti, sia perché Mario aveva le idee chiarissime, sia perché intervallavamo la scrittura al risotto, al bosco, ad amene letture scovate nella biblioteca di casa. Come quel romanzo sulla vita di Casanova che aveva appassionato il Mario letterato e il Dondero dongiovanni. E viaggi, naturalmente. E “trattoriole”, come Mario le definiva. Penso così, che sulla strada per l'ignoto Mario si sia fermato in quella “formidabile trattoriola” che sta tra l'Inferno e il Paradiso. Dove fanno quel risotto... Mannaggia a San Pietro, senza l'olio di semi.


Questo articolo è uscito su Pagina99 in edicola per due settimane. Per gustarvi le foto di Monika Bulaj (il valore aggiunto di questo breve ricordo) dovete prendere il giornale

venerdì 18 dicembre 2015

Mario Dondero, il mio ricordo e la fotografia

No, non era la fotografia e la capacità di scatto, la qualità più grande di Mario Dondero. Non so se sia il più grande fotografo italiano del secolo, se sia un maestro dell'arte fotografica europea. Non lo so perché di fotografia (questo l'ho imparato stando vicino a Mario e a Monika Bulaj) non capisco nulla: è un 'arte complessa e piena di sfaccettature. E dunque non era per le sue foto che ho amato Mario. La qualità principale era la sua umanità che, come tutti han detto, si rifletteva nelle sue immagini. Ma cos'è l'umanità al di là della simpatia, del fascino, del saper stare in mezzo alla gente? Mario era certo un gran corteggiatore, un uomo raffinato ed educato nei rapporti con le persone. Uno capace di attaccar bottone con tutti perché di tutti era curioso. Ma la sua altra grande qualità era avere la schiena dritta. Esser simpatico e affabile non basta se non c'è dietro anche un'elaborazione intellettuale della tua umanità che, per Mario, era impegno sociale e politico. Al contempo quest'uomo di saldi, saldissimi principi, era molto libertario. Perdonava ad altri ciò che a lui non si sarebbe mai perdonato. Non faceva compromessi. Capperi, questo coniugare umanità e schiena dritta mi pare la sua qualità essenziale, quella per cui lo ricordo. E poi, certo, anche quella capacità di viaggiare, di perdersi via nel vento delle cose e delle passioni che fanno deviare dalla strada maestra. Infine era fotografo, storico della fotografia, interprete curioso dei cambiamenti («sono un partigiano dell'analogico ma sono affascinato dalle nuove possibilità del video...»). Ma non mi mancheranno le sue foto. Mancherà lui, una persona la cui cifra umana mi sembra irraggiungibile e un modello cui attenersi.

Mario d'Oltralpe

Qui da Franceinter  un articolo dedicato a lui e a una piece teatrale in Francia costruita a partire da una sua famosissima fotografia. Ci sono anche diverse sue immagini

Questo video anche: Mario Dondero, tentative d'interview par Michel Puech



Qui un'intervista a Mario registrata il 23 settembre 2014, a Bologna a presentare Lo scatto umano.  Mario fa un riassunto perfetto del libro. Un bel regalo di Radio Città del Capo e di  Piero Santi (il conduttore).  C'è tutto: gli esordi, gli ungheresi e, naturalmente, Robert Capa. Era il suo  mito. Il mio, ca va sans dire, è Mario Dondero

Domani su Pagina99 il ricordo  di Monika e mio di Mario

mercoledì 16 dicembre 2015

Ricordando Mario Dondero

Il dolore è profondo e temo, per certi versi, inconsolabile. Soprattutto per chi Mario lo ha conosciuto e ne ha tratto non pochi insegnamenti così che ora quel vuoto è maledettamente profondo e incolmabile.

 Tant'è: è bello come Mario viene ricordato. Tra le tante cose uscite (le tre pagine sul manifesto ad esempio coi bei pezzi, tra gli altri, di Tommaso di Francesco, Angelo Ferrracuti, Mastrandrea e Boccia ma anche Gnoli e Smargiassi su Repubblica), segnalo un po' di cosette: il delicato e completo ricordo  dedicatogli da Valentina Redaelli su radiopopolare.it; il video montato da pagina99 (che sabato esce con delle foto inedite scattategli da Monika Bulaj due anni fa) e che riproduco qui sotto*:




Infine alcuni sonori di Mario con Goffredo Fofi (erano molto amici) che trovate qui sul sito de Lo Straniero (da cui è tratta l'immagine in alto a destra).

Qui sotto invece una delle "preferite" di Mario: Le deserteur di Boris Vian, cantata da Marcel Mouloudji



E ancora questa versione jazz di "Odio l'estate" (che Mario adorava anche nell'originale di Bruno Martino). Si passavan ore su Youtube a trovare colonne sonore per cucinare al meglio il risotto



Un forte abbraccio a Laura che lo ha accompagnato sino alla fine e ai suoi tre figli

Le immagini con cui è stato realizzato questo video sono tratte dal documentario Calma e gesso, di Marco Cruciani

domenica 13 dicembre 2015

Ciao Mario

Se n'è andato stasera Mario Dondero, grande  fotografo e ancor più grande amico, per ignota destinazione. Confido che, lungo la strada, si sia fermato "in quella trattoriola" dove fanno una zuppa particolare di fagioli dal sapore genovese. Mancherà a tanti

A Ca' delle mosche, con Monika Bulaj (che mi prestò la macchina) mentre preparavamo
Lo scatto umano  nell'autunno del 2013

venerdì 4 dicembre 2015

Transumanza e letteratura sulla Durand Line

Necessità, tradizione, mito e scrittura. La migrazione di vecchi e nuovi nomadi tra narrazione epica e antichi movimenti transfrontalieri. Uno sguardo sulla frontiera maledetta

La Durand Line e in particolare i suoi passaggi, di cui il più famoso è quello di Khyber, sono sempre stati una grande attrazione per i viaggiatori occidentali a partire dalla sua creazione. Ma molto prima e molto dopo, sia quando quel confine non esisteva, sia dopo che il righello di Mortimer Durand l'aveva tracciato, un'enorme massa di persone aveva attraversato, e continua a farlo, la frontiera geografica segnata dai monti Suleiman. Per commercianti, trafficanti, eserciti, contrabbandieri, guerriglieri, i passi che attraversano quella linea più o meno immaginaria sono l'accesso al subcontinente o l'uscita verso l'Asia centrale. Di questi protagonisti si è detto molto ma minor attenzione si è prestata a quanti, nei secoli e in parte ancora oggi, la attraversano in una migrazione nomadica che spinge a varcare quella soglia in cerca di un clima meno rigido e pascoli più rigogliosi. Anche vecchi e nuovi nomadi (per scelta economica – nel caso della transumanza – per scelta obbligata – nel caso dei migranti in fuga dalla guerra – per scelta logistica nel caso dei viaggiatori) sono dunque tra i grandi protagonisti della frontiera più porosa del pianeta. Ma se i viaggiatori occidentali hanno soprattutto raccontato sé stessi e del fascino del Khyber Pass, i pastori non si raccontano e sono ancor meno sono raccontati di quanto non lo siano profughi e sfollati, obbligati a un nomadismo senza futuro dalle contingenze belliche. I pastori nomadi attraversano da secoli una frontiera che è per loro essenzialmente geografica. I nomadi “moderni” - i viaggiatori – ne sono invece stati attratti dall'idea di un passaggio culturale – molto mitizzato - tra due mondi.

Kuchi
Monile kuchi. Si può comprare
su ebay per meno di otto dollari

Della migrazione dei nomadi afgani che attraversano stagionalmente il confine non si conosce
molto, come poco si sa della loro storia e persino delle loro origini. Tanto meno dell'estrema fluidità con cui un gruppo può passare da una vita nomade a una seminomade o addirittura sedentaria per poi riprendere nuovamente la strada. In Afghanistan i nomadi vengono denominati Kuchi, un termine che indica soprattutto (ma non solo) la realtà pashtun1. In effetti la maggior parte delle comunità nomadi o seminomadi sono pashtun ma vi sono gruppi, benché minori, di origine beluci, araba, turcmena e così via. Il nomadismo è prevalentemente legato alle esigenze del pascolo e per molti Kuchi le pianure al di là dei Suleiman erano una meta importante: non solo per la ricerca di pascoli ma per commerciare il surplus (bestiame, carne, lana, capelli, pelli, frutta ma anche artigianato – tappeti – scambiati per sale, tè, zucchero, abiti, ferro e, in tempi recenti, cherosene). Largamente tollerati dai britannici – che quando potevano tassavano le carovane – i nomadi hanno visto complicarsi le cose con le frizioni di frontiera tra Pakistan e Afghanistan, sia per la questione del “Pasthunistan”, sia per la necessità più recente di controllare il flusso transfrontaliero, specie se non passa da valichi stradali. Alle difficoltà di attraversare la frontiera – passaggio garantito dalla conoscenza del terreno e dalla rete delle parentele - si è aggiunto il problema della sicurezza (guerra, mine, bombardamenti) e la ricerca di lavori sedentari in Afghanistan: elementi che hanno ridotto sempre di più - dagli anni Sessanta del secolo scorso - il flusso tra le due frontiere, tanto che oggi la transumanza transfrontaliera, fortemente scoraggiata, è ormai un fenomeno residuale in quel milione e mezzo di nomadi Kuchi (2,5 milioni in totale), di cui oggi si registrano soprattutto le contese con vecchi e nuovi proprietari terrieri sull'utilizzo dei pascoli afgani.

mercoledì 9 luglio 2014

Morte nel salotto buono di Trieste

Copio da fb il post di Monika Bulaj perché meglio di ogni altra parola commenta il dramma avvenuto nella città del grande psichiatra (e a cui la città non ha dedicato nemmeno un vicolo) dove ieri è morto annegato alle 5 del pomeriggio davanti a una folla inerte un ragazzo afgano e di cui Il Piccolo ha dato notizia in maniera nefanda. La sua  famiglia ha sporto denuncia

Una vergogna per la città di Franco Basaglia, e per chi dà le notizie in questo modo.
Khalil era un ragazzo afghano schizofrenico uscito traumatizzato dalla guerra. E' annegato ieri alle 17, davanti alle gente inerte sul molo Audace.
Conosco bene questa famiglia. I suoi fratelli e cugini - persone eroiche e dignitose - gestiscono una pizzeria. (Ironia della sorte, proprio in questi giorni sto insegnando a nuotare la cugina diciassettenne di Khalil: sarà forse lei un giorno a buttarsi in mare per salvare un ragazzo triestino?)
Khalil non è un "individuo socialmente pericoloso", come oggi ne dà notizia il Piccolo (in edizione cartacea), "che ha tolto il disturbo da questo mondo", e "stavolta, però, ...ha deciso di fare male solo a se stesso", Khalil, egregio Direttore Possamai, è una persona che annega davanti agli occhi dei passanti che invece di salvarlo - tra un "tocio" e un gelato - chiamano il 118. Questa, egregio Direttore, è la notizia vera.

martedì 7 gennaio 2014

L'AFGHANISTAN DI MONIKA BULAJ

L'intervista a Monika Bulaj dove la fotogiornalista racconta il suo Afghanistan


(Puntata del 29 dicembre - Video Mediaset.Trasmissione sul sacro di Maria Cecilia Sangiorgi con i commenti del cardinale Ravasi/ Canale 5)




venerdì 13 dicembre 2013

NUR, APPUNTI AFGHANI




Frammenti dello spettacolo teatrale (performing reportage) "Nur. Appunti afghani" tratto dal libro "Nur. La luce nascosta dell'Afghanistan" (Electa 2013). Foto, video, racconti, audioregistrazioni di Monika Bulaj. Regia Daria Anfelli. Riprese di Francesco Comello all'anteprima nazionale a Pordenone luglio  2013.

domenica 13 ottobre 2013

MESTRE/AFGHANISTAN, NUR APPUNTI AFGANI

Performing reportage
Immagini racconti film e suoni

di e con Monika Bulaj
regia di Daria Anfelli

Centro Candiani
Piazza Candiani
Mestre (Venezia)

auditorium quarto piano
ingresso: intero 5 - ridotto 3 (Candiani Card, CinemaPiù, studenti)
Biglietti in vendita alla biglietteria del Centro e online sul sito www.biglietto.it
(diritto di prevendita 1 euro)

venerdì 4 ottobre 2013

LA LUCE NASCOSTA DELL'AFGHANISTAN (la biblioteca di Amanullah)


Dopo anni di peregrinazioni ed esplorazioni solitarie, munita di una Leica e di un taccuino, Monika Bulaj racconta in un libro il suo viaggio nella terra degli afgani, alla ricerca dell’anima di un popolo devastato da anni di occupazione militare e di guerra. Dal confine iraniano a quello cinese, spostandosi a bordo di bus, taxi, camion, a dorso di cavalli e yak, la fotoreporter ha vissuto a stretto contatto con gli abitanti di questi territori, ha diviso con loro il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, le risa, la paura.Le straordinarie fotografie, accompagnate da appunti di viaggio e riflessioni, contraddicono molti cliché, svelano un mondo inatteso e complesso che l’Occidente perlopiù ignora: l’Afghanistan non è solo un paese oscurantista, ma è anche una terra di poeti, culla del sufismo, di un Islam tollerante, che lascia spazio a una società dignitosa, rispettosa di riti e tradizioni. In un territorio vastissimo, dove si alternano realtà urbane a deserti dai colori abbaglianti, cieli sconfinati e montagne innevate, Monika Bulaj, trova la nur, la luce nascosta dell’Afghanistan. (presentazione dell'editore)

NUR
La luce nascosta dell'Afghanistan
Monika Bulaj
Electa editore

lunedì 12 novembre 2012

TRIESTE'S SOUVENIR

Alla tre giorni triestina (settembre) organizzata da Monika Bulaj a margine della mostra Nur appunti afgani: da sinistra, Fabrizio Foschini (Aan), Giuliano Battiston (Afgana), Enrico De Maio (diplomatico, già ambasciatore in Pakistan), Thomas Ruttig (Aan), Emanuele Giordana (Afgana). Lo scatto è del maestro Mario Dondero

sabato 8 settembre 2012

IL GRANDE GIOCO DI TRIESTE SULL'AFGHANISTAN


“AFGHANISTAN, OLTRE IL GRANDE GIOCO”


INCONTRI, TESTIMONIANZE, RIFLESSIONI

DOCUMENTARI E FOTOGRAFIE


Trieste, Auditorium dell’Ex Pescheria - Salone degli Incanti

7, 8 e 9 settembre 2012

PROGRAMMA definitivo

venerdì 7 settembre 2012

ore 17.00 Roberto Cosolini, Sindaco di Trieste, Saluto
Alberto Cairo, “20 anni in Afghanistan"
Monika Bulaj, curatrice di "Afghanistan, oltre il Grande Gioco"

ore 19.00 Hermann Kreutzmann e Fabrizio Foschini
“Luci e ombre nel Pamir afgano”
introduce Emanuele Giordana

ore 21.00 Giovanni De Zorzi, “Musiche d’Afghanistan. Note per un paesaggio sonoro”

ore 22.30 proiezione del film "Ustad Rahim. Herat's rubab maestro" di John Baily, Afghanistan 1994, 55’, sottotitoli in inglese


sabato 8 settembre 2012

ore 11.00 Presentazione dei due volumi sull'Afghanistan:
Andrea Angeli, “Senza Pace: Da Nassiriyah a Kabul. Storie in prima linea”
Antonio De Lauri, “Afghanistan. Ricostruzione, ingiustizia, diritti umani”
modera Emanuele Giordana

ripresa lavori

ore 17.00 Sergio Ujcich, “Il Sufismo”
Alexandre Papas, “La mistica musulmana in Afghanistan”
introduce Monika Bulaj

ore 19.00 Monika Bulaj, “Oltre il Grande Gioco. Immagini e storie di un’umanità ignorata”


ore 21.00
Grazia Shogen Marchianò, "Sulla soglia delle 'cose ultime' a Oriente e Occidente: una meditazione in parole"

Soraya Malek, “L’emancipazione femminile negli anni Venti”
modera Giuliano Battiston

ore 23.00 proiezione di cortometraggi presentati alla sezione Afghanistan di Universo Corto, Elba Film Festival 2012/Afgana/Afghan Voices
“Before i was good” di Masoud Ziaee, 11.54’
cortometraggio vincitore
“Light in the cave” di Sayed Suleiman Amanzad, 7.54’
“Look who is driving” di Airokhsh Faiz Qaisary, 8.26’


domenica 9 settembre 2012


ore 10.00 Giovanni Pedrini, “Il buio albeggia da Oriente. Identità e culture del Pamir afghano”

ore 12.00 Enrico De Maio, Thomas Ruttig e Fabrizio Foschini
"Dentro il Grande Gioco. Il futuro dell'Afghanistan dopo l'uscita di scena dei militari"
modera Giuliano Battiston

ripresa lavori

ore 17.00 Mario Dondero, “Testimone di un secolo di fotografia italiana racconta il suo viaggio in Afghanistan”
Rossella Vatta e Raul Pantaleo , “Impegno sul campo di EMERGENCY”
modera Emanuele Giordana

ore 19.00 Emanuele Giordana, Soraya Malek, Giuliano Battiston
“Né talebani né signori della guerra, la terza via della società civile afgana”

ore 21.00 Nazhend Behbudi, Genni Fabrizio, Veronika Martelanc e Aluk Amiri
”Storie di questo mondo. Profughi afgani in Europa”
modera Monika Bulaj

ore 23.00 proiezione del film/documentario “In This World - Cose di questo mondo”, di Michael Winterbottom, Gran Bretagna 2002, 90’ Orso d’oro al Festival di Berlino 2003




Durante le pause del convegno verrà proiettato il film “BACHA BAZI” (The dancing boys of Afghanistan), di Najibullah Quraishi, che tratta il delicato tema dello sfruttamento sessuale di giovani ragazzi afgani.

….

ANDREA ANGELI, ex portavoce dell’Unione Europea e di EUPOL in Afghanistan, autore dei volumi "Professione Peacekeeper" e "Senza Pace"; è portavoce del sottosegretario agli Esteri, Staffan De Mistura.
GIULIANO BATTISTON, ricercatore e giornalista freelance, collabora con quotidiani e riviste, tra cui Il Manifesto e Lo Straniero. Coordina il sito di informazione economica www.sbilanciamoci.info e cura il programma del Salone dell'editoria sociale di Roma. In Afghanistan ha realizzato due ricerche: sulla societa' civile e sulla percezione delle truppe straniere. Ne sta realizzando una terza per il network "Afgana".
MONIKA BULAJ, fotografa e scrittrice, collabora con La Repubblica, Il Corriere della Sera, National Geographic, GEO, Il Piccolo. Ha esposto in molte città del mondo tra cui New York, Il Cairo e Roma. Per il suo lavoro ha ricevuto il Premio Chatwin, The Aftermath Project Grant, TED Fellowship, Premio Luchetta-Hrovatin, Premio Tomizza.
ALBERTO CAIRO, fisioterapista e scrittore. Vive a Kabul da 20 anni. Lavora per il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Autore di “Diari di Kabul” e “Mosaico Afgano” entrambi per Einaudi. Pratica la “discriminazione positiva”: nei centri ortopedici del CICR in Afghanistan sono i disabili che riabilitano altri disabili. E’ stato candidato per il Premio Nobel per la Pace nel 2010.
ANTONIO DE LAURI, ricercatore, ha curato il volume “Poesie afgane contemporanee. Un percorso tra le vie della conoscenza” ed è autore del libro “Afghanistan. Ricostruzione, ingiustizia, diritti umani” nel quale analizza i limiti del tentativo di ricostruzione giuridica e giudiziaria in Afghanistan.
ENRICO DE MAIO, diplomatico, già ambasciatore d'Italia in Pakistan e Afghanistan. E’ stato tra gli organizzatori della prima conferenza di Bonn, nel 2001, dopo la caduta dei talebani.
GIOVANNI DE ZORZI, suonatore di flauto ney e docente di Etnomusicologia all'Università Ca' Foscari di Venezia. Si occupa di musica classica e sufi di area ottomano-turca, iranica e centroasiatica; alterna l’attività concertistica, in solo o alla guida dell'Ensemble Marâghî , con la ricerca, la scrittura, la direzione artistica di programmi musicali e la didattica.
MARIO DONDERO, fotografo e giornalista, è considerato il padre del fotogiornalismo italiano. Ha lavorato per diverse testate nazionali ed estere e ha tenuto centinaia di mostre dei suoi lavori che vanno dalla descrizione della realtà sociale in Europa dal dopoguerra a oggi alla documentazione di conflitti in varie parti del mondo. Ha anche documentato la scena letteraria, artistica e cinematografica del continente europeo.
FABRIZIO FOSCHINI, laureato in Storia Orientale all'Università di Bologna, lavora in Afghanistan, da più di due anni, come ricercatore all’Afghanistan Analysts Network di Kabul, forse il più accreditato centro di ricerca sulle tematiche politiche del Paese.
EMANUELE GIORDANA, cofondatore di Lettera22, direttore del mensile "Terra", è uno dei conduttori di Radiotre Mondo a Rai Radio3 e tra i portavoce dell'iniziativa "Afgana", rete italiana della società civile che, nel 2011, ha ricevuto il Premio per la Pace Tiziano Terzani.
HERMANN KREUTZMANN, professore di Geografia Umana, direttore del Centro di studi sullo sviluppo, direttore dell’Istituto di Scienze Geografiche presso la Freie Universitat Berlin, ha una pluriennale esperienza di ricerca sul campo nelle regioni dell’Asia centro-settentrionale; attualmente è consigliere e ricercatore principale del Competence Network “Crossroads Asia”, finanziato dal Bundesministerium für Bildung und Forschung.
SORAYA MALEK, principessa afgana discendente del re riformatore Amanullah, (esiliato in Italia e morto in Europa agli inizi del secolo scorso), fa parte della rete “Afgana”.
GRAZIA SHOGEN MARCHIANO’, studiosa di estetica comparata e studi indiani e buddhisti, già professore ordinario di Estetica e Storia e Civiltà dell'Asia orientale, è stata testimone e interprete del cozzo fra le forze che innescano ma anche distruggono la luce interiore, invocata da ogni mistica come la vera mèta; in un monastero shingon giapponese è stata iniziata alla meditazione profonda; presidente dell’AIREZ, l’Associazione nel nome di Elémire Zolla, ne cura l’Opera omnia e ne ha scritto, per Marsilio, la biografia intellettuale ” Il conoscitore di segreti”.
RAUL PANTALEO, architetto e grafico, da anni svolge la sua attività professionale e di ricerca nell'ambito della progettazione partecipata bioecologica e della comunicazione sociale, collaborando con organizzazioni del terzo settore. Fortemente impegnato nei progetti di Emergency, ha progettato e realizzato diversi centri sanitari in vari paesi africani, tra cui il Centro Salam di Karthoum che ha rappresentato l'Italia alla Biennale di architettura 2010.
ALEXANDRE PAPAS, ricercatore al Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, storico dell'Islam e dell'Asia centrale; nel 2006 ha ricevuto il premio per la miglior tesi di dottorato all'Istituto per lo studio dell'Islam e le società del mondo musulmano; si occupa di misticismo Sufi, venerazione del sacro e di questioni politico-religiose in Asia centrale dal XVI secolo ad oggi.
GIOVANNI PEDRINI, antropologo e orientalista, responsabile del progetto di ricerca "Identità etniche e frontiere culturali nel Wakhan Pamir” dell'Università Ca' Foscari di Venezia.
THOMAS RUTTIG, fondatore di Afghanistan Analysts Network è a capo del più vecchio e autorevole centro di ricerca storico politica dell'Afghanistan con base a Kabul ed è un analista molto ascoltato in Germania e conosciuto a livello internazionale.
SERGIO UJCICH, portavoce ufficiale del Centro Culturale Islamico di Trieste e del Friuli
ROSSELLA VATTA, infermiera pediatrica dell’IRCCS materno infantile Burlo Garofolo di Trieste, ha lavorato come volontaria di Emergency nel Centro di maternità dell'Ospedale di Anabah in Panjshir.

Per l’ evento speciale “Storie di questo mondo. Profughi Afgani in Europa”:

NAZHEND BEHBUDI, per Save the Children
GENNI FABRIZIO,per Tenda per la Pace e i Diritti
VERONIKA MARTELANC, per UNHCR, membro della Comissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale presso la Prefettura di Gorizia
ALUK AMIRI, artista, autore dei film: "Nei sogni dei miei piccoli sogni" e "Benvenuti in Italia. Un altro sguardo sull'accoglienza".



Seguiranno proiezioni di film e di documentari.


MOSTRA

“Nel giardino luminoso dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione”.


NUR/LUCE. Appunti afgani è una mostra della fotoreporter Monika Bulaj, che dopo essere stata presentata a Venezia nella Loggia di Palazzo Ducale e a Roma alle Officine Fotografiche, viene ospitata a Trieste, nella suggestiva cornice dell’ex Pescheria - Salone degli Incanti, arricchita da nuove immagini e testi, interventi negli spazi aperti della città e un convegno tematico.

venerdì 3 agosto 2012

LUCI AFGANE A TRIESTE


A Trieste, fotografie, testi, voci e suoni di Monika Bulaj, una mostra multimediale promossa e realizzata dal Comune di Trieste dal 4 agosto al 23 settembre 2012 a Trieste nell'ex Pescheria - Salone degli Incanti

Oggi pomeriggio l'inaugurazione

Per vedere la mostra (sino al 30 settembre) da lunedì a venerdì dalle 17 alle 23, sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 23

sabato 3 settembre 2011

IL SILENZIO DI MONIKA E IL CHIASSO DI BABUR

“L’assenza di didascalie alle immagini di questa mostra non è una dimenticanza ma una scelta. Sono appunti muti, imbavagliati. E' la protesta contro la censura sul popolo afghano...una guerra di cui parliamo solo ai funerali dei militari o come sfondo ai gossip ministeriali”. Rimbalza dall'Italia a Kabul la presentazione, ieri a Venezia, della mostra di Monika Bulaj (Nur/Luce, appunti afghani, Palazzo Ducale) in cui la fotogiornalista, le cui cronache sconfinano nell'arte, ha scelto l'unica maniera possibile per un fotografo di polemizzare col nostro modo di (non) raccontare questo paese: didascalie mute che, sotto le immagini che svelano come l'“Afghanistan non sia solo guerra anche se la guerra la facciamo da dieci anni distruggendo equilibri e nutrendo mostri”, dicono anche, appunto senza dire, di quante lacune si.ciba il racconto di un conflitto che ormai ha stancato o che, se dev'essere ricordato, espone retorica e buoni sentimenti senza far le pulci a buoni propositi poco rispettati.

La polemica di Bulaj fa pensare che esiste dunque un altro Afghanistan. Popolato di gente comune: non eroi ma fantasmi che pure mangiano, lavorano, ridono, piangono o fanno l'amore. Tutta questa gente, assente dai nostri racconti, dunque esiste. E cosa c'è di meglio allora che andare a osservarla nel venerdi che chiude definitivamente la lunga pausa di Eid, che sembra aver fatto dimenticare un po' a tutti che qui la guerra è una maledetta quotidianità da oltre trent'anni e che in questo Paese, oltreché di proiettili, si continua a morire anche perché l'acqua è contaminata, la gente non sa come mettere d'accordo il pranzo con la cena o si salta su una mina.

Nei giardini di Babur, antica proprietà del re ora parco pubblico restaurato dalla Fondazione Aga Khan, tutto questo, almeno per un'oretta, si può dimenticare. Frotte di famiglie sciamano nella grande area verde con gli abiti della festa e qualche anguria da spolpare. Le donne non sono tante, in quest'universo perlopiù maschile che è l'Afghanistan, ma ci son bambinetti che corrono sui prati, giovinastri che giocano su qualche scacchiera, anziani dal nobile portamento che schiacciano un pisolino. Una pausa dalla guerra. La finzione che un mondo migliore è possibile. Un po' di sano chiasso invece di plumbeo silenzio. In quest'angolo di pausa dalla realtà – che pure è realtà anch'essa – scorre la vita di quei fantasmi di cui non ci occupiamo mai e che raramente vengono interrogati su quel che pensano. Didascalie mute come alle foto di Monika Bulaj.

>Anche su Terra quotidano ecologista

venerdì 19 agosto 2011

OMAGGIO ALLA LUCE

Nur
(Luce)
Viaggio nell’altro Afghanistan.
Venezia Mostra fotografica dal 5 agosto al 1° ottobre
Loggia Foscara, Palazzo Ducale

Fotografie di Monika Bulaj

Spiega Monika Bulaj: "Un viaggio solitario nella terra degli Afghani. Dividendo il cibo, il sonno, la fatica, la fame, il freddo, i sussurri, il riso, la paura. Spostandosi con bus, taxi, cavalli, camion, a dorso di yak. Dal confine iraniano a quello cinese sulle nevi del Wakhan, armati soltanto di un taccuino e una Leica, fatti per l’intimità dell’incontro.
Balkh, Panjshir, Samanghan, Herat, Kabul, Jalalabad, Badakshan, Pamir Khord, Khost wa Firing. Uno slalom continuo per evitare i banditi targati Talib, seguendo la complicata geografia della sicurezza che tutti gli afghani conoscono. Parlando con gli afghani, ho scoperto che la guerra è una macchina miliardaria che si autoalimenta e che pur di funzionare arriva al punto di pagare indirettamente tangenti allo stesso nemico.

Rifiutando di viaggiare con un’unita’ militare – ‘embedded’ – protetti da un elmetto in kevlar, ho ritrovato un mondo che dalla Maillart a Bouvier gli europei amarono e che ora, dopo dieci anni di presenza militare, abbiamo rinunciato a conoscere. La culla del sufismo e di un Islam tollerante che, lì come in Bosnia, l’Occidente si ostina a ignorare. Un mondo odiato dai Taliban e minacciato dal nostro schema dello scontro bipolare.

Un Paese nudo e minerale
, dove un albero ha una maestà senza eguali e l’individuo non ha spazio per l’arroganza. Deserti dove il richiamo “Allah u Akhbar” suona più puro che altrove. Una terra abbacinante, dai cieli sconfinati, e così inondata di sole che bisogna rifugiarsi nell’ombra – interni, albe e crepuscoli – per ridare un senso alla luce, al fuoco, ai bagliori dello sguardo.
Un Paese disperato, dove la donna è schiacciata dal tribalismo e l’oppio è la sola medicina dei poveri, ma dove una straniera può essere accolta in una moschea e l’incantamento dello straniero è vissuto come una benedizione.
Una terra dove si rischia la vita solo andando a scuola e dove nelle periferie disperate i bambini si svegliano alle quattro del mattino per andare a prendere l’acqua con gli asini. Ma anche un Paese d’ironia, capace di ridere nei momenti più neri, rispettoso degli anziani, perfettamente conscio che il solo futuro possibile sta nella scuola, e nei bambini che domani saranno uomini.
Nel “giardino luminoso” dell’Afghanistan ho seguito d’istinto i suoi sentieri, trovando focolai di speranza nei luoghi più insperati, nel fondo più nero della disperazione".