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domenica 3 aprile 2016

Una fondazione per le donne afgane. Nel nome di Soraya e nello spirito di Amanullah

Riporto l'intervista a Soraya Malek -  e il resoconto dell'incontro - dopo che alcuni giorni fa la nipote di re Amanullah ha intrattenuto una lunga conversazione con gli studenti della Scuola di Giornalismo Basso di Roma. La principessa ha parlato del suo prossimo impegno afgano a favore delle donne, in linea con l'eredità spirituale e politica dei suoi avi. A seguire un breve reportage dalla casa romana che ospitò il monarca e la sua famiglia  durante l'esilio.

Quando andrò a Kabul fonderò la Soraya d’Afghanistan Foundation proprio in onore di mia nonna. Per aiutare le donne dell’Afghanistan”. La principessa Soraya Malek annuncia agli studenti della scuola di giornalismo della Fondazione Basso, a Roma, l’intenzione di dare vita, anche nella capitale afgana, all’associazione nata in Italia con la collaborazione del Centro Studi Cappella Orsini. Obiettivo dell’iniziativa è la valorizzazione dei saperi tradizionali del Paese e la realizzazione di progetti finalizzati a rendere le donne afgane economicamente produttive, anche attraverso forme di comunicazione legate alle nuove tecnologie. È dal nonno, il re Amanullah Khan, che Soraya eredita il suo impegno al servizio del popolo afgano. Un impegno rivolto in particolare alle donne, costrette a vivere una condizione di forte limitazione dei diritti e delle libertà fondamentali.
In un’intervista sulla condizione femminile in Afghanistan, sua madre, la principessa India d’Afghanistan, afferma che il vero disastro per le donne afgane avviene a partire dall’invasione sovietica. Lei è d’accordo e, se sì, perché individua nell’invasione sovietica un momento di rottura rispetto al percorso di emancipazione delle donne in Afghanistan?
Con l’invasione sovietica sono saltati tutti i valori. È stata una cosa terribile. Per un anno non
sono riuscita a dormire la notte al pensiero dei sovietici che entravano con i carri armati in Afghanistan e che avvelenavano le acque. Con il senno del poi mi sono resa conto che si è trattato di una guerra a distanza tra Unione Sovietica e Stati Uniti. Certamente i sovietici hanno fatto cose orribili però, osservando ciò che è successo in seguito, mi rendo conto che alcuni mali sono successivi a quell’evento di portata storica. Non dico che erano meglio i sovietici, o che era meglio Saddam Hussein, o Assad. Io ero per Saddam Hussein, anche se ovviamente non sono d’accordo su come Saddam ha affrontato la questione curda. Sotto il suo governo però le donne erano senza velo, potevano circolare liberamente nelle città. Tutte le donne, curde, arabe, persiane d’Iraq, sciite, sunnite. Non c’erano distinzioni. Adesso le donne di Iraq stanno come sappiamo. Lo stesso vale per le donne afgane. Comunque tutto è iniziato con l’invasione sovietica. Perché i sovietici hanno invaso l’Afghanistan? Niente succede per caso. Nel 1978 la Conferenza di Panama il G6 decise di non appoggiare più lo shah di Persia e di portare Khomeini in Iran. Gli occidentali volevano che lo shah dichiarasse guerra all’Iraq, ma lo shah si rifiutò perché non voleva mettere in discussione gli accordi di Algeri del 1975. Ma perché gli occidentali hanno favorito l’ascesa di Khomeini? Per destabilizzare le repubbliche socialiste sovietiche musulmane in Kazakistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan. A quel punto l’Unione Sovietica ha deciso di invadere l’Afghanistan per paura che la propria area di influenza si contaminasse con l’integralismo, poi con il fondamentalismo. È tutto in mano all’Occidente e ai fondamentalisti che si fanno manovrare.
Riguardo al processo di emancipazione delle donne, lei considera la figura di Rula Ghani una figura di rottura rispetto al passato?
Ammiro molto Rula Ghani. Quest’anno, quando ha preso parte al meeting di Rimini, una giornalista le ha chiesto se si considerasse come la regina Soraya. Rula ha risposto di non esserne all’altezza perché non è una regina. Ha dichiarato pubblicamente che Soraya è stata la prima donna afgana, la prima regina d’Afghanistan, a uscire fuori dal Paese per farlo conoscere. È stata la prima a lavorare con le donne del suo Paese. Solo dopo Rula ha ammesso di essere “la seconda donna dell’Afghanistan” ad andare “all’estero per fare conoscere il Paese”. Il problema di Rula Ghani, e io le sono vicina, è che, essendo libanese, nasce maronita, quindi cristiana. Per ogni cosa che afferma riguardo il Corano viene tacciata di essere infedele. Quindi, deve essere sempre molto attenta a quello che sostiene. Però sta lavorando molto: ha una commissione di donne in gamba che si occupano di varie questioni, come la sanità e le imprese, che l’aiutano. Gira il mondo. È un faro anche per me.
Suo nonno, il re Amanullah Khan, a quali figure politiche e a quale cultura politica si è ispirato? Lei cosa sente di aver ereditato dello spirito riformista di suo nonno?
Il riferimento iniziale di Amanullah è stato Mahmud Tarzi, padre della regina Soraya, un grande intellettuale. Alla fine, purtroppo, Tarzi si è allontanato da Amanullah. Amanullah voleva che ci fosse un avanzamento veloce, mentre Mahmud Tarzi gli consigliava di procedere con più prudenza, per evitare complicazioni. E invece Amanullah non ha voluto seguire i suoi consigli ed ha accelerato il processo riformatore del Paese.
Quanto all’influenza dello spirito riformista di mio nonno, sì, c’è stata. In famiglia ci hanno sempre insegnato a servire il popolo afgano, anche se eravamo distanti. Io sono l’unica dei tredici nipoti di Amanullah che va in Afghanistan. Sento quasi il dovere di servire il popolo afgano, ma soprattutto le donne del mio Paese. Infatti, quando andrò a Kabul, fonderò la Soraya d’Afghanistan Foundation, proprio in onore di mia nonna. Per aiutare le donne afgane.

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L'incontro alla Fondazione Basso


“Ammiro molto Rula Ghani perché si batte per i diritti delle donne dell’Afghanistan”. Così a margine dell’incontro svoltosi presso la Fondazione Lelio e Lisli Basso, Soraya Malek, nipote dell’omonima regina afghana del primo Novecento, giudica l’operato dell’attuale first lady. A breve, Soraya Malek aprirà una fondazione in difesa delle donne afghane, causa per cui si batte da quasi un secolo la sua famiglia.
L’incontro avvenuto mercoledì 16 marzo alla Fondazione Basso in via della Dogana Vecchia a Roma è stata l’occasione per ricostruire la storia del Re Amanullah Kahn negli anni venti, l’esilio della famiglia in Italia e l’attuale condizione delle donne e della società in Afghanistan.
La nipote del Re Amanullah Kahn, costretto alla fuga nel 1929, ha ripercorso la storia della famiglia reale nel Novecento. Dalle riforme politiche e sociali attuate a partire dall’insediamento di Amanullah: parità dei sessi; tutela delle minoranze; abolizione dell’obbligo di portare il velo e garanzia del diritto all’istruzione. I diritti per le donne come il divieto di matrimonio tra un uomo anziano e una giovanissima; l’istituzione di un tribunale per le donne vittime di torti, abusi o ingiustizie.
Poi la campagna di diffamazione nei confronti del nonno: “gli inglesi mettevano dei nastri registrati nascosti nelle moschee che dicevano “qui è Dio che parla, il vostro Re è un infedele”. Non mancano i ricordi tramandati nella famiglia reale a proposito dell’esilio in Italia ospite della casata Savoia. Il re era molto vicino a Vittorio Emanuele III, non amava Mussolini e gli chiese: “Come fai a farti mettere i piedi in testa da uno come il Duce?”. L’educazione ricevuta dalla principessa Soraya è ancora un ricordo nitido. Vivevano nell’attuale ambasciata nigeriana: "Era come un’accademia militare e una volta all’anno dovevamo servire il personale della villa. Mi ripetevano sempre che una famiglia reale ha il compito di servire il popolo”.
Non solo il passato, ma anche l’attuale condizione dell’Afghanistan, con “la dominazione occidentale per 14 anni con in testa gli Usa" non ha aiutato la figura della donna: "non hanno migliorato l’istruzione, hanno investito solo in addestramento militare”. sentenzia Soraya. “Quando torno in Afghanistan mi rendo conto di vivere una distanza abissale con il mio paese di origine; sono cresciuta qui in Italia e ho trascorso molto tempo con mia nonna, una sincera democratica. Ho potuto visitare l’Afghanistan diverse volte e sento come dovere quello di servire le donne afghane. Per questo motivo ho deciso di aprire una fondazione dedicata alla questione femminile.” Anche per questo, non mancano parole di ammirazione nei confronti dell’attuale first lady che non si definisce all’altezza della regina Soraya ma la rispetta molto e la riconosce come fonte di ispirazione per la tutela della donna. “Purtroppo – conclude la principessa - l’attuale first lady è nata cristiana e per ogni cosa che lei dice riguardo al Corano viene aggredita dai fondamentalisti perché giudicata infedele”.  

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L'infanzia romana della principessa d'Afghanistan

La luce che illumina il palazzo di via Orazio 14 a Roma, non scalda i ricordi rimasti al suo interno. Non c'è modo di entrare nel luogo che un tempo fu la casa della principessa Soraya. Oggi è l'ambasciata della Nigeria ma nel 1929 accolse la famiglia reale.
Nessuno che adesso lavori all'ambasciata saprebbe dire in quale stanza il re Amanullah si sedesse a raccontare alla nipotina Soraya della terra d'Afghanistan e del suo popolo. Le finestre del palazzo, alte e sormontate da un elegante arco di marmo bianco, hanno per lo più le serrande abbassate e alla vista è così sottratta ogni possibilità di scoperta. Basta poca immaginazione però per capire che affacciandosi su via Orazio, Soraya avrebbe visto la scuola dove passò l'infanzia. Più precisamente il retro dell'istituto e una scritta incisa sul muro: i caratteri regolari come le strade di questo ricco quartiere di Prati, si susseguono a formare parole fiere e sconfitte come "Opera nazionale balilla". Anche la scuola Umberto I però, non ricorda più i sorrisi, le amicizie, la matita colorata impugnata per provare a scrivere le prime lettere dell'alfabeto sul foglio bianco, con mano tremante e curiosa. Oltre il cortile all'interno non si può andare; non si possono percorrere i corridoi della scuola, alla ricerca di qualche vecchia foto di classe.
Un caffè ristoratore potrà forse colmare la curiosità di penetrare questi luoghi inaccessibili. A meno che, lo sguardo di chi dietro al bancone del bar sta riempiendo la tazzina di caffè non si accenda e finalmente inizi a raccontare. I ricordi di Mario sono più che altro sensazioni: la scuola torna ad essere un luogo vivace in cui la moglie del barista baffuto e la principessa Soraya giocavano insieme da bambine. Nessuna differenza sociale le separava. Anche il palazzo di via Orazio 14 prende vita perché da lì usciva un signore distinto mano per mano con la sua piccola figliola: il padre di Soraya. "Si vedeva che era nobile, anche se non avresti mai detto che era un principe, tanto era alla mano".
Quando la ricerca sembrava fallita, i racconti di Mario restituiscono un'idea dell'infanzia della principessa Afghana e permettono di spingersi ad immaginare anche il tipo di educazione ricevuta. Le stanze del palazzo, prima imperscrutabili, si riempiono di tradizioni afghane; di storie di famiglia tramandate di generazione in generazione; di valori nobili che non sono garanzia di uno status ma educano ed elevano l'animo.



L'intervista è di Annalisa Ramundo e Marta Facchini
Il resoconto è di Marco Mastrandrea
Il mini rep è di Marina de Ghantuz Cubbe

A questo lavoro, in gran parte collettivo, hanno anche partecipato Greta Bisello, Viola Brancatella, Marina de Ghantuz Cubbe, Marta Facchini, Marco Mastrandrea, Annalisa Ramundo, Giulia Sbaffi,  Alfredo Sprovieri, Federico Stefanutto,








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