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giovedì 15 giugno 2017

La luce verde del guerrafondaio riluttante ai generali

Tre generali: Mattis, attuale capo del Pentagono.
 Sotto a sn Nicholson. A dx McMaster
Alla fine la luce verde del presidente è arrivata. E benché si tratti ancora una volta di indiscrezioni giornalistiche, anche se ben verificate, Donald Trump, l’uomo che aveva promesso il disimpegno dai fronti di guerra, ha  dato l’autorità al titolare della Difesa James Mattis di decidere come e quanti soldati americani andranno a ingrossare le fila degli 8.400 militari stellestrisce che operano in Afghanistan.

In un’audizione al Senate Armed Services Committee, Mattis - un generale dei marine, già a capo dell’US Central Command, responsabile del teatro afgano e mediorientale – numeri non ne ha fatti. Ma a detto che a metà luglio renderà conto della nuova strategia per battere la guerriglia talebana. Un “nemico barbaro”, come Mattis l’ha definito in altra occasione, in perfetta sintonia con le recenti aperture del governo di Kabul a quelli che Karzai chiamò persino “fratelli”. Mattis però, così come il consigliere per la sicurezza di Trump generale McMaster, alla via pacifica crede poco. E in questo è davvero in sintonia con John Nicholson, il capo delle forze Usa e Nato sul terreno (altri 5mila uomini tra cui mille italiani): è lui il principale fautore di “più stivali” in teatro, come si dice in gergo.



La melina sul nuovo “surge” americano, che ricorda altri esperimenti fallimentari del passato, è iniziata addirittura a febbraio ma sui giornali è uscita in maggio quando con le prime indiscrezioni si son fatti anche i numeri: tra 3 e 5mila soldati in più. Poi però Trump ha fatto un passo indietro e, durante il suo viaggio europeo di tre settimane fa – che prevedeva un summit Nato a Bruxelles il 25 maggio– non ha fatto alcun annuncio limitandosi a chiedere più soldi e non soldati ai partner dell’Alleanza. Ma a questo aveva già pensato il segretario della Nato Stoltenberg, reduce da un giro delle sette chiese (anche a Roma) che ha incassato promesse da alcuni Paesi (Gran Bretagna, Danimarca) e un “ni” da altri. Cosa gli abbiano detto gli italiani non si sa e nessun parlamentare della Repubblica ha chiesto lumi sul futuro del secondo contingente straniero presente in Afghanistan dopo quello degli Stati Uniti (a seguire Germania, Romania e Regno Unito).

Per ora gli americani hanno circa 7mila uomini nel contingente multinazionale Nato di cui hanno il comando e che ha come mandato quello di fare formazione militare e non di combattere. Ma ora le regole potrebbero cambiare: i nuovi arrivi si unirebbero probabilmente ai circa 2mila soldati Usa impegnati in operazioni “combat” e sarebbe il Pentagono, non la presidenza, a decidere regole di ingaggio e strategia locale. Che per adesso, da un paio d’anni a questa parte, si è concentrata sui bombardamenti dal cielo, l’attività dei droni e il test della GBU-Moab, la cosiddetta “Madre di tutte le bombe” che solo il Papa ha per ora avuto il coraggio di criticare. Quanto all’Italia, nemmeno una parola. Né dal governo, né dall'opposizione. La guerra in Afghanistan, nonostante le Moab, il surge e mille soldati, è dietro le spalle anche per noi.

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