I segnali ci sono e, purtroppo, non solo sui social.
Domenica scorsa migliaia di persone, tra cui monaci buddisti – racconta il magazine locale Irrawaddy – hanno partecipato a manifestazioni in onore del “Tatmadaw Admirer Group”. Tatmadaw è l'esercito birmano e – nota il giornale – mai come questa volta gente comune e monaci buddisti si son stretti attorno a chi ha ripulito dai rohingya lo Stato orientale del Rakhine. Alle celebrazioni il più famoso monaco ultranazionalista Ashin Wirathu non è andato (il Consiglio nazionale del Sangha, che regola i rapporti tra clero buddista e Stato, gli ha vietato discorsi pubblici) ma ha inviato un messaggio per lodare l'esercito e le forze di sicurezza che “proteggono” il Nord Rakhine; condannando la comunità internazionale per averlo censurato. Il suo gruppo, Ma Ba Tha, è ufficialmente sciolto ma è risorto con altri nomi come la Buddha Dhamma Parahita Foundation.

Ottama, un monaco assai noto e citato in un reportage dell’Associated Press, dice all'intervistatore che non capisce perché il papa «venga nel mezzo di un conflitto» se non per favorire i “bengalesi”, come in Myanmar vengono chiamati i rohingya, un termine vietato nel Paese delle mille pagode. Così vietato che persino il cardinale Charles Bo, a capo della fragile comunità cattolica birmana (700mila su 51 milioni), ha pregato Francesco di evitare quella parola. Parola usata per altro più volte da un papa che i rohingya li ha chiamati “fratelli”. Il pontefice incontrerà comunque anche esponenti del Sangha e in un momento delicatissimo. Il ministero degli Affari religiosi e della cultura ha infatti appena presentato in parlamento un progetto di legge contro i “discorsi dell’odio”, che punisce individui o gruppi che se ne facciano promotori. Una mossa del governo che gli ultranazionalisti religiosi alla Wirathu guardano con sospetto e che metterebbe un freno a una legge, fatta ad hoc durante la dittatura, che protegge in chiave nazionalista il buddismo birmano: la Protection of Race and Religion Laws, varata nel 2015, bollata da molti come discriminatoria verso donne e musulmani.
La recente luna di miele tra monaci e militari sarebbe iniziata proprio con il primo recente esodo forzato di rohingya nel 2012. Da allora gli episodi di violenza, intimidazione, odio hanno cominciato a diventare abituali e protetti, contraddicendo una tradizione che vedeva nei monaci birmani una forza prevalentemente progressista. Se ancora probabilmente lo è, è pur vero che le cose sono molto cambiate e che il fidanzamento coi militari corrisponde, per molti, anche a una sorta di divorzio dalla Lega per la democrazia di Suu Kyi.
Nessun commento:
Posta un commento