Non è un viaggio facile per papa Francesco Bergoglio quello che inizia lunedi in Myanmar per proseguire poi in Bangladesh. Il papa, che incontrerà il presidente birmano Htin Kyaw e la sua premier “de facto” Aung San Suu Kyi, prevede anche un incontro, il 30 novembre, con il generale Min Aung Hlaing, l’uomo forte del Paese e il più potente rappresentante dell’esercito. Molto girerà attorno alla questione dei rohingya, in un’atmosfera che rischia di essere tesa, anche se Joseph Kung Za Hmung, laico cattolico, fondatore di una Ong e del servizio cattolico di mass-media e web “Gloria Tv”, dice all’Agenzia vaticana Fides che «la gente aspetta Francesco con grande gioia e benevolenza. Fedeli di tutte le religioni lo apprezzano e lo rispettano, soprattutto i buddisti. Non abbiamo visto, finora, alcun segnale negativo da parte di quei gruppi estremisti che potrebbero indire manifestazioni… abbiamo registrato però delle parole ostili sui social media, dove alcuni accusano il papa di aver preso le parti dei musulmani rohingya».
I segnali ci sono e, purtroppo, non solo sui social.
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domenica 26 novembre 2017
giovedì 19 ottobre 2017
Rohingya, l'ultima accusa

rohingya”. Dopo che il vocabolario dell’orrore sembrava ormai aver esaurito tutte le parole – esodo forzato, violenza, genocidio, stupro, pulizia etnica - Amnesty International, nel suo ultimo rapporto, aggiunge l’aggettivo “sistematico” a una campagna che ha come risultato il più numeroso esodo della storia recente da un Paese non in conflitto, una nuova biblica cacciata dai propri luoghi di origine. Il popolo senza identità, invisibile nei registri delle autorità birmane, accusato di essere la prole di un’immigrazione illegale dal Bengala, è così fisicamente minacciato che il governo birmano sembra aver in mente un solo obiettivo: cacciarli finché non resti un solo rohingya.
Amnesty non lo dice ma le “nuove prove” raccolte dall’organizzazione, che con Human Rights Watch ha immediatamente preso le difese della minoranza, mettono in chiaro un quadro sistematico di violenza continuata con una “campagna di omicidi, stupri e incendi di villaggi” portata avanti - dicono decine di testimonianze - da “specifiche unità delle forze armate, come il Comando occidentale, la 33ma Divisione di fanteria leggera e la Polizia di frontiera”. La contabilità ha ormai superato quota 530mila, un record possibile solo se, in un Paese apparentemente in pace, c’è in realtà una guerra che ha come obiettivo l’esodo di intere famiglie, tribù, villaggi. “Centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini – scrive Amnesty - sono vittime di un attacco sistematico e massiccio che costituisce un crimine contro l’umanità” così come lo concepisce lo Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale. Il Tpi elenca 11 atti che, se commessi intenzionalmente durante un attacco, costituiscono il più grave dei reati. E Amnesty ne ha riscontrati almeno sei: “omicidio, deportazione, sfollamento forzato, tortura, stupro e altre forme di violenza sessuale, persecuzione oltre a ulteriori atti inumani come il diniego di cibo e di altre forniture necessarie per salvare vite umane”.

Alla voce di Amnesty si aggiunge quella di organizzazione come Msf:“Le strutture mediche, incluse le nostre cliniche, sono al collasso. E in poche settimane – scrivono i Medici senza frontiere - abbiamo ricevuto 9.602 pazienti in ambulatorio e 3.344 pazienti in pronto soccorso. Tra loro, anche adulti sul punto di morire a causa della disidratazione: il sintomo che una catastrofe sanitaria è dietro l’angolo”. La voce dell’Onu è risuonata molte volte ma con scarsi risultati. E lo sa bene il sottosegretario Jeffrey Feltman che martedi a Yangoon si è sentito fare una reprimenda dal generale Min Aung Hlaing, il capo di stato maggiore birmano, che non vuole l’Onu tra i piedi: la maggior parte delle agenzie del palazzo di Vetro infatti nel Rakhine, il luogo del delitto, non ci può andare. Sono di parte, dicono i generali, che si apprestano a rilasciare un loro dossier su come sono andate le cose. Ai militari birmani non basta evidentemente che, per non turbare troppo gli equilibri, il Programma alimentare mondiale (Wfp) abbia fatto sparire un dossier “imbarazzante” e che per molto tempo, fin dal 2016, le agenzie dell’Onu abbiano fatto di tutto per evitare polemiche e scandali. Una mediazione senza risultati.
La diplomazia comunque batte un colpo e ieri l’Alto commissario Ue Federica Mogherini ha comunicato per telefono ad Aung San Suu Kyi, ministro degli Esteri ma premier de facto, che tutti i 28 membri Ue (inclusa l’Italia che ha recentemente inviato il suo ambasciatore, Pier Giorgio Aliberti, nel Rakhine) hanno chiesto l’immediato accesso alle agenzie umanitarie nel Paese ma che soprattutto, per via dello “sproporzionato uso della forza”, hanno deciso che né il generalissimo, né altri soldati birmani potranno mettere piede in Europa sino a che esista questa situazione (e a breve anche gli Stati Unite potrebbero seguire l'esempio).
L’embargo sulle armi, già in essere da tempo, non solo continuerà ma gli uomini in divisa non potranno nemmeno venire a girare le fiere e i mercati degli armamenti che probabilmente si procurano con oculate triangolazioni. E’ almeno un primo passo e a ridosso di due incontri importanti: il meeting nella capitale birmana dell’Asem il 20 novembre (Asia-Europe Meeting, un processo di dialogo tra i Paesi Ue, altri due paesi europei, e 22 paesi asiatici più il segretariato dell'Asean) e, subito dopo, la visita di papa Francesco il 26. Anche li è già in corso una guerra delle parole: i vescovi locali non vogliono che il pontefice parli di “rohingya”, termine che la stessa Suu Kyi non utilizza mai. I “self-identifying Rohingya Muslims” come li chiamano i giornali più progressisti birmani (anche loro molto attenti a non incorrere nelle maglie della censura) oltre a non aver più la casa non hanno nemmeno più un’identità.
domenica 7 maggio 2017
“Peccato mortale sfruttare il lavoro ”

Alla fine ci sta pure una battuta: “I governi e gli impegni dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo? Non lo dico da papa ma lo dico con la grande Mina: parole, parole, parole”. La platea dell’Auditorium Paolo VI in Vaticano ride e si spella le mani. Sono soprattutto studenti, settemila, arrivati un po' da tutta Italia. Fan parte di un progetto iniziato tre anni fa dalla Tavola della pace d’intesa con il Miur e promosso dal Coordinamento degli Enti Locali per la Pace, la Rete Nazionale delle Scuole di Pace e un altra decina di sigle tra cui la Regione Friuli Venezia Giulia e i Giovani Musulmani d’Italia. I ragazzi, dalle medie al liceo, han lavorato in questi anni sul tema della guerra: informandosi, interrogandosi e anche suggerendo soluzioni. L'ultima, uscita da una media di Udine giorni fa, quella di istituire un”ora di pace” a scuola, come si fa con quella di religione.


A destra "Mina" Anna Maria Mazzini, cantante famosa anche in Argentina. "Parole Parole" era la sigla finale di Teatro10 con Alberto Lupo nel 1972
Sopra: la GBU-43 Massive Ordnance Air Blast bomb (MOAB)
domenica 11 gennaio 2015
Sri Lanka tra Pechino e Santa sede

poche ore dall'insediamento e dalla clamorosa sconfitta di Mahinda Rajapaksa, Sri Lanka aspetta un altro grande evento: l'arrivo del papa. Non si tratta di una visita pastorale come tante e arriva in un momento complesso che non ha mancato, prima delle elezioni, di suscitare polemiche nella base e tra la gerarchia progressista dell'isola, dove i cattolici sono una minoranza piccola ma presente e a cui stava a cuore che Bergolgio non si prestasse a speculazioni politiche da parte del presidente. Adesso non è ben chiaro come sarà il cerimoniale: Rajapaksa aveva affisso manifesti con la sua immagine e quella del papa e forse sperava di poterlo accogliere da presidente eletto per guadagnarsene la benedizione. Ai cattolici, tutti con Sirisena, la visita ormai concordata prima dello strappo di novembre (quando Rajapaksa ha indetto le elezioni prima della scadenza naturale del mandato) sembrava un rischio così alto da far consigliare a molti un rinvio.
La struttura dove parlerà il papa, che parte da Roma domani per essere a Colombo martedi, non è ancora terminata e si corre ai ripari lavorando di buona lena: leve, gru, ponteggi metallici, operai che punteggiano il lungomare su cui si affaccia la capitale e, poco più avanti, il palazzo presidenziale in questi giorni oggetto di speculazioni e rumor. La velocità con cui Rajapaksa ha ammesso la sconfitta, ha lasciato di stucco chi credeva che comunque il vecchio presidente non avrebbe mollato: un giornale locale sostiene addirittura che avesse in realtà deciso di ribaltare il tavolo, chiedendo al procuratore generale di preparare le carte per sbarrare la strada a Sirisena, e che avrebbe cambiato idea dopo il suo rifiuto. Scenario di fantasia?
domenica 25 marzo 2012
MESSICO E NUVOLE

Se avete o non avete risposto e volete comunque farvi quattro risate (e poi approfondire ad esempio i motivi della visita del papa in Messico e a Cuba), andate sul blog di Gennaro Carotenuto, un docente di storia (che conosce bene anche la geografia) con la passione del giornalismo e una discreta scorta di puntuta ironia.
venerdì 8 maggio 2009
I TALEBANI E IL PAPA
Minacce in occasione del viaggio del papa in Terra santa. Ma molto edulcorate. Leggendo bene il comunicato dei sodali di mullah Omar si scopre che....

“Tra la gente del Libro, ci sono molti che, per invidia, vorrebbero farvi tornare miscredenti dopo che avete creduto e dopo che anche a loro la verità è apparsa chiaramente! Perdonateli e lasciateli da parte, finché Allah non invii il Suo ordine. In verità Allah è Onnipotente”. Comincia con un versetto del Corano, anche piuttosto edulcorato, il “comunicato dell'emirato islamico” sulla “diffusione del cristianesimo in Afghanistan” con cui talebani hanno scelto di commentare la visita del papa in Terrasanta. Messaggio che lancia minacciosi altolà, ma anche questi piuttosto edulcorati rispetto al linguaggio tradizionale dei militanti in turbante o a quelli deliranti dei qaedisti. Diffuso sul sito Internet ufficiale del movimento, il comunicato dei seguaci di mullah Omar si rivolge direttamente a Benedetto XVI: “Lanciamo un appello alla personalità più importante del mondo cristiano, Papa Benedetto XVI - si legge alla fine del messaggio - affinché proibisca queste attività stupide e irresponsabili di proselitismo dei crociati...non attenda oltre perché la nostra risposta e la nostra punizione sarà durissima, così come la reazione dei musulmani afghani, che sono stati offesi da questa vicenda”.
Il comunicato appare come la risposta a un servizio andato in onda tre giorni sulla rete araba al Jazeera, in cui venivano mostrati alcuni cappellani militari che incitavano i loro soldati a fare proselitismo del cristianesimo in Afghanistan, diffondendo anche copie della Bibbia in lingua pashtu.
“Da diverso tempo i nostri paesi musulmani stanno subendo le prevaricazioni degli americani - si legge ancora nel testo del messaggio - che uniti dalla croce fanno propaganda del loro credo cristiano. Decine di organizzazioni missionarie operano per fare proselitismo cristiano sotto le mentite spoglie di organizzazioni non governative e umanitarie che collaborano direttamente con gli occupanti americani e crociati approfittando della situazione di guerra e di bisogno degli afgani che vengono spinti verso la deviazione religiosa da queste persone”. E in una parte del messaggio i talebani ricordano tra l'altro la vicenda di Abdel Rahman, l'afgano convertitosi al cattolicesimo in seguito rifugiatosi in Italia. Ma è con gli americani che ce l'hanno i talebani: “...il video trasmesso di al Jazeera è stato visto da migliaia di persone....in quel video si vedeva chiaramente come soldati americani diffondessero copie tradotte del Vangelo deviato alla gente della provincia di Braun che si trova cento chilometri a nord di Kabul....per compiere un lavoro di corruzione condannato dalle stesse leggi militari americane”.
Il testo appare però più come una disquisizione di teologia militante che un vero testo di minaccia al Papa (...l'emirato islamico chiede al popolo afghano di respingere questi attacchi alla sua fede che sono un prolungamento della guerra crociata iniziata da Bush...l'emirato chiede agli Ulema della nazione islamica e ai suoi intellettuali di impedire queste azioni dei crociati e agire in aiuto dell'Islam) tanto che Benedetto viene definito, quasi deferentemente, “...la personalità più importante del mondo cristiano”.
Pura propaganda, è il commento a botta calda dell'ammiraglio Giampaolo Di Paola, presidente del Comitato militare della Nato: “Conoscete i talebani - ha detto – che hanno un ottimo sistema di propaganda. Credete alle loro parole? Io no, del resto - ha aggiunto - non ho mai visto un soldato nato in Afghanistan con la Bibbia in mano”.
Ma a parte la vicenda di al Jazeera, quel che resta interessante del messaggio è proprio il tono, più indignato, al fine, che minaccioso. Un segno certo dei tempi. Tra l'altro nulla fa pensare a una sorta di messaggio in codice alla comunità dei credenti di Palestina o della Giordana o a quella araba che vive all'interno dei confini israeliani. E non c'è neppure un riferimento ad Hamas. I talebani hanno voluto parlare al papa soprattutto per ribadire la purezza ideologica che starebbe alla base della loro missione nazionale: difendere il paese dagli infedeli.

“Tra la gente del Libro, ci sono molti che, per invidia, vorrebbero farvi tornare miscredenti dopo che avete creduto e dopo che anche a loro la verità è apparsa chiaramente! Perdonateli e lasciateli da parte, finché Allah non invii il Suo ordine. In verità Allah è Onnipotente”. Comincia con un versetto del Corano, anche piuttosto edulcorato, il “comunicato dell'emirato islamico” sulla “diffusione del cristianesimo in Afghanistan” con cui talebani hanno scelto di commentare la visita del papa in Terrasanta. Messaggio che lancia minacciosi altolà, ma anche questi piuttosto edulcorati rispetto al linguaggio tradizionale dei militanti in turbante o a quelli deliranti dei qaedisti. Diffuso sul sito Internet ufficiale del movimento, il comunicato dei seguaci di mullah Omar si rivolge direttamente a Benedetto XVI: “Lanciamo un appello alla personalità più importante del mondo cristiano, Papa Benedetto XVI - si legge alla fine del messaggio - affinché proibisca queste attività stupide e irresponsabili di proselitismo dei crociati...non attenda oltre perché la nostra risposta e la nostra punizione sarà durissima, così come la reazione dei musulmani afghani, che sono stati offesi da questa vicenda”.
Il comunicato appare come la risposta a un servizio andato in onda tre giorni sulla rete araba al Jazeera, in cui venivano mostrati alcuni cappellani militari che incitavano i loro soldati a fare proselitismo del cristianesimo in Afghanistan, diffondendo anche copie della Bibbia in lingua pashtu.
“Da diverso tempo i nostri paesi musulmani stanno subendo le prevaricazioni degli americani - si legge ancora nel testo del messaggio - che uniti dalla croce fanno propaganda del loro credo cristiano. Decine di organizzazioni missionarie operano per fare proselitismo cristiano sotto le mentite spoglie di organizzazioni non governative e umanitarie che collaborano direttamente con gli occupanti americani e crociati approfittando della situazione di guerra e di bisogno degli afgani che vengono spinti verso la deviazione religiosa da queste persone”. E in una parte del messaggio i talebani ricordano tra l'altro la vicenda di Abdel Rahman, l'afgano convertitosi al cattolicesimo in seguito rifugiatosi in Italia. Ma è con gli americani che ce l'hanno i talebani: “...il video trasmesso di al Jazeera è stato visto da migliaia di persone....in quel video si vedeva chiaramente come soldati americani diffondessero copie tradotte del Vangelo deviato alla gente della provincia di Braun che si trova cento chilometri a nord di Kabul....per compiere un lavoro di corruzione condannato dalle stesse leggi militari americane”.
Il testo appare però più come una disquisizione di teologia militante che un vero testo di minaccia al Papa (...l'emirato islamico chiede al popolo afghano di respingere questi attacchi alla sua fede che sono un prolungamento della guerra crociata iniziata da Bush...l'emirato chiede agli Ulema della nazione islamica e ai suoi intellettuali di impedire queste azioni dei crociati e agire in aiuto dell'Islam) tanto che Benedetto viene definito, quasi deferentemente, “...la personalità più importante del mondo cristiano”.
Pura propaganda, è il commento a botta calda dell'ammiraglio Giampaolo Di Paola, presidente del Comitato militare della Nato: “Conoscete i talebani - ha detto – che hanno un ottimo sistema di propaganda. Credete alle loro parole? Io no, del resto - ha aggiunto - non ho mai visto un soldato nato in Afghanistan con la Bibbia in mano”.
Ma a parte la vicenda di al Jazeera, quel che resta interessante del messaggio è proprio il tono, più indignato, al fine, che minaccioso. Un segno certo dei tempi. Tra l'altro nulla fa pensare a una sorta di messaggio in codice alla comunità dei credenti di Palestina o della Giordana o a quella araba che vive all'interno dei confini israeliani. E non c'è neppure un riferimento ad Hamas. I talebani hanno voluto parlare al papa soprattutto per ribadire la purezza ideologica che starebbe alla base della loro missione nazionale: difendere il paese dagli infedeli.
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