Le immagini sono tratte da thedonkeysanctuary.org.uk |
Profughi di guerra
Il nostro viaggio comincia a Mannar, area tamil dello Sri Lanka, una zona divenuta famosa quando papa Francesco la visitò due anni fa sia per la presenza di un santuario cattolico sia per sottolineare la necessità di una pacificazione tra singalesi buddisti e tamil per lo più indù. Ma ciò che colpiva a Mannar, dove ormai i segni della guerra civile si andavano stemperando, era la quantità di asini nelle strade della città. Bestie abbandonate durante i vari pogrom e le violenze contro i tamil che, scappando, abbandonavano per forza di cose anche i loro animali: cani e asini soprattutto. La città è rimasta così ostaggio della sua eredità bellica anche per via di queste bande di quadrupedi assai mal in arnese: magri e malatticci, sempre in cerca di cibo ed estremamente riottosi e violenti. I cani possono mordere ma gli asini possono sia mordere, sia causare incidenti automobilistici o semplicemente affibbiarti un calcio mortale se gli girano i cinque minuti. Assieme a una sarabanda di branchi di cani famelici e spelacchiati, finiscono - specie di notte – per rendere pericolose la stradine buie della cittadina. Da alcuni anni però, Bridging Lanka – una Ong nata nella diaspora srilankese in Australia – ha cominciato a occuparsi degli asini di Mannar. A salvarli, accudirli, curarli facendone anche una risorsa e non più un accidente violento con cui fare i conti: con l’aiuto di un team della Donkey Sanctuary India, fondi australiani e personale srilankese, il programma ha iniziato col levare gli asini dalla strada. Ma in seguito ne ha fatto anche dei piccoli terapeuti per bambini, un ruolo che restituisce all’animale la perduta dignità trasformandolo da odiato clochard a compagno di giochi (l'asino è usato spesso nella pet therapy, la onoterapia.) Gli asini del Donkey Project si possono anche “adottare”, protagonisti di un welfare animale che ha dunque anche un senso politico: creare un ponte tra le comunità in un’area segnata dalla guerra per decenni. Asini e riconciliazione.
Da Nocera a Giava
Da Mannar ci spostiamo in Italia, a Nocera, città a Nord di Salerno incuneata in una valle circondata da montagne coltivate ad agrumi e olive. Nella zona di Roccapiemonte, nella parte superiore di Nocera, c’è l’azienda della famiglia Soriente: Bed and Breakfas e ristorante di piatti tipici, limonaie e aranceti, olivi e stalle. Con una certa sorpresa ci si imbatte in una sessantina di asini di varie razze: dai piccoli ciuchi sardi ai giganteschi ragusani, dall’asino maltese al bianco dell’Asinara. Sono “parcheggiati” in attesa di attraversare un intero continente. E di spostarsi dal salernitano… a Giava. Sorride Antonia Soriente, docente di lingua e letteratura indonesiana all’Orientale di Napoli che a Nocera è nata ma che ha passato molti anni della sua vita nell’arcipelago delle 17mila isole. L’idea è venuta a suo marito Reza perché asini in Indonesia non ce ne sono ma in compenso il latte del prezioso animale è molto richiesto. Non pelle per medicinali dunque né carne per il macello, ma un programma che alcuni imprenditori locali vorrebbero impiantare per commercializzare il latte d’asina. Famoso non solo nel nostro immaginario collettivo ma perché, rispetto a quello di vacca, pecora e capra, è molto più simile al latte materno umano e proprio per questo è l'alimento che più si presta a scongiurare allergie al latte vaccino.
L’asino che vola
«Gli asini saranno trasferiti con un aereo commerciale tutto per loro – spiega la docente dell’unico corso di Indonesiano in Italia – e in questo modo gli si evita un viaggio di settimane via nave col rischio di decessi e malattie». Gli asini alloggiati nell’azienda di Nocera, dovrebbero partire a fine gennaio per sbarcare a Surabaya, Giava orientale. Sarà un primo esperimento: il clima indonesiano non è né quello di Malta né quello dell’Asinara anche se è vero che questi animali molto resistenti vivono bene in Asia da secoli - come dimostra il caso di Sri Lanka - e in climi molto diversi. Il piccolo e solo apparentemente scontroso quadrupede è infatti un campione di adattabilità: l’asino domestico discende da specie selvatiche africane diffuse sulle coste orientale-settentrionali del continente. Si è poi diffuso a macchia d’olio, dall’Europa alle Americhe, dalla Siria all’Afghanistan, dall’Iran alla Russia, sino a Sri Lanka dove pare sia stato portato da commercianti arabi. In India ce ne sarebbero un milione e mezzo e in Cina, sebbene sia anche un paese importatore, ne vivrebbero sei milioni! Mancava giusto l’Indonesia. Fortunatamente non sulla loro pelle.
La pelle dell’asino
E Jiao o ejiao è il nome con cui è conosciuta un'antichissima medicina cinese già citata 2500 anni fa tra i rimedi efficaci in materia di ginecologia: integratore del sangue, nutrirebbe lo yin - principio e forza passiva femminile dell'universo complementare allo yang – e preverrebbe gli aborti oltre a fornire altre miracolose prestazioni. Il suo consumo in Cina è cresciuto a dismisura negli ultimi anni tanto da aver provocato un vero e proprio boom nell'acquisto di pelle d’asino. Ingrediente fondamentale del medicamento è infatti una gelatina prodotta bollendo la pelle asinina (Colla Corii Asini) e in particolare quella dell’asino nero africano. Non vanno bene né il mulo né il cavallo né altre razze e una confezione su Amazon (completa di commenti negativi sul suo utilizzo o sui suoi supposti effetti) arriva a 160 euro.
A rivelare il boom di questo commercio, di cui si parlava soltanto in qualche articolo di magazine specializzati dedicati alla salvaguardia della specie, è stato l’anno scorso il rapporto UNDER THE SKIN (Sotto la pelle) prodotto da un team di The Donkey Sanctuary, associazione fondata nel Regno unito nel 1969 dalla dottoressa inglese Elisabeth Doreen Svendsen, un’animalista ante litteram morta nel 2011. Di asini al mondo ce ne sarebbero oltre 40 milioni ma la Cina, che deteneva uno dei primati con 11 milioni di capi, ha visto già dal 2014 decrescere il suo patrimonio asinino della metà. Diminuzione esponenziale come esponenziale è la domanda di ejiao, uno degli effetti sia della crescita della nuova classe media cinese, sia della facilità con cui, sul web, si propaganda, si vende e si compra il prodotto. Fonti cinesi citate dal rapporto sostengono che la domanda di pelle d’asino fa si che ogni anno la Cina abbia bisogno di 10 milioni di capi senza poter far conto sul suo mercato interno. Ecco perché negli ultimi anni è cominciata una vera e propria caccia alla pelle d’asino africano con effetti devastanti sui mercati locali dove il quadrupede ha visto lievitare il prezzo d'acquisto a livelli insostenibili (in Burkina è passato da 70 euro nel 2014 a 125 nel 2016) tanto da muovere diversi Paesi a vietarne l’esportazione. La caccia riguarda anche America Latina e altre nazioni asiatiche. Il Pakistan ad esempio, pur ferreo alleato di Pechino, è diventato nel 2015 il primo Paese asiatico a bandire l’esportazione di pelle di asino.
Questo articolo è uscito sullo speciale de il manifesto Il gambero verde
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