U Aung Toe (settimo da sinistra) nel suo villaggio |
I campi del Magway producono arachidi, fagioli e un sesamo molto richiesto soprattutto dal mercato indiano e cinese. La terra, che ora viene preparata per la semina, è punteggiata da palma da olio e da qualche rada pianta di mango di una qualità non commerciabile. Gli scarsissimi pali della luce, la cisterna per l’acqua piovana e una fila di donne con secchi attaccati al bilanciere che vengono dall’unico pozzo comune della zona, la dicono lunga su come si vive qui. C’è anche qualche vacca,
Da sn : U Lin Myat, Andrea Ricci e Ko Mio |
In più c’è un problema comune a gran parte dell’Asia: “Molti contadini – spiega U Aung Toe – non hanno carte che dimostrino la proprietà della terra”. Ciò in sostanza, spiega Ko Mio Min Aung – un esperto di agraria e sistemi idrici - “significa per loro non avere accesso al credito perché non c’è alcuna garanzia”. Se non piove o piove troppo nel momento sbagliato, si rischia ad esempio di non avere abbastanza semente per l’anno successivo.
Ko Mio lavora ormai da oltre un decennio col Cesvi, una Ong di Bergamo che è presente in Myanmar dal 2001. Poiché i finanziamenti in cooperazione sono un po’ come le piogge – vanno e vengono secondo i capricci dei governi – è stato lui a mantenere il presidio in questi anni anche quando i soldi non c’erano. Adesso però sul piatto ci sono due milioni di euro della Cooperazione italiana per un progetto di tre anni. Prima di farcelo spiegare andiamo con Ko Mio a incontrare U Lin Myat, il direttore del Dipartimento regionale di agricoltura del Magway. E’ un signore con un sorriso aperto e una discreta eleganza. Parla poco ma non ha reticenze: “I nostri prodotti interessano anche il mercato internazionale: Cina e India in primis ma anche altri Paesi asiatici. Vendere all’estero però non è
A pochi chilometri: Bagan, patrimonio Unesco dell’umanità. Struggente bellezza in una terra inospitale e desertificata |
Tutto ciò abbassa i profitti e rende i contadini ostaggio oltreché del mercato, dei suoi intermediari. “Il costo di produzione qui è ancora troppo elevato così come i materiali che importiamo. Infine c’è l’impatto climatico che ha aggravato la situazione. Se piove poco i risultati sono scarsi e se piove troppo, nel momento sbagliato, il raccolto si ammala per problemi legati allo stoccaggio e alla diffusione di malattie fungine”.
U Lin Myat è di quelli che credono nella Cooperazione internazionale. “Facciamo di tutto per favorire investimenti, tecnologia, pratiche per alzare gli standard di quantità e qualità”.... (continua)
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