Da fine marzo, da quando i primi casi di Covid-19 sono apparsi anche in uno degli ultimi Paesi che ne erano immuni, la premier birmana Aung San Suu Kyi ha cominciato a lavarsi le mani in tv. E la macchina statale si è messa in moto bloccando aeroporti e frontiere come aveva già fatto con la Cina dopo l’annuncio del virus a Wuhan. Può essere che non basti ma ha intanto cancellato il capodanno buddista di metà aprile e chiuso i luoghi di culto. Si vede bene a Bagan, sito Unesco con oltre tremila pagode, monasteri, biblioteche e altri manufatti che attirano turisti internazionali e pellegrini locali. Non è stato così - e in parte ancora non lo è – per altre manifestazioni religiose o piccole comunità di qualche clone cristiano, musulmano, indù che si ostina ad aggirare i divieti. Se gli Ulema dell'egiziana Al-Azhar hanno emesso, seppur solo il 25 marzo, una fatwa che vieta le preghiere collettive nelle moschee e se la chiesa cattolica, pur con qualche distinguo, ha blindato la messa, c’è chi resiste. Piccole e grandi sette, preti ribelli, movimenti antisemiti e luoghi di culto che non rispondono a un’autorità centrale. Rifiutano l’idea che pregare significhi ammalarsi. O vedono nel virus un elemento salvifico.
Nello scatto di Aswami Yusof, una riunione di Tablighi Jama’at del 2009 in Malaysia |
Che gli assembramenti siano fonte di contagio è noto. E che gli eventi religiosi siano e siano stati una delle forme migliori per l’espansione di un virus è evidente anche se non tutti sono d’accordo. Gli storici del tempo ad esempio, ritengono che il Crocefisso della Chiesa romana di San Marcello al Corso sia il responsabile della fine di un'epidemia di peste nel 1522 grazie a una solenne processione penitenziale della durata di ben due settimane: vi parteciparono nobili e plebei, vecchi e bambini. Le autorità, temendo il contagio, tentarono invano di bloccare i cortei ma alla fine l'epidemia cessò. Merito del crocefisso? Il 15 marzo papa Francesco è andato a pregare proprio davanti a quell’icona. Ma lo ha fatto da solo.
Nel saggio che uno storico locale ha dedicato alla peste che colpì il barese nel 1600, Pasquale Tandoi scrive che durante la metà del 1600, c'era una «drammatica richiesta di intervento soprannaturale di fronte all’inefficacia della "scienza medica” del tempo (e che) anche a Corato, come in tutti i borghi del Regno, si svolsero processioni di penitenza che spesso peggioravano la situazione... l’ammassarsi della popolazione allargava il contagio. Successivamente, per ordine dell’Arcivescovo e delle autorità furono fatti rientrare in città gli ordini religiosi... innalzate forche a spavento di chi infrangesse la legge... creati lazzaretti, uccisi cani e gatti; proibito uscire dalle case… i pochi che avevano il permesso, non dovevano conversare con nessuno né salutarsi».
In molti casi il panico porta a veri e propri pogrom o a preghiere segrete forzate quanto affollate: lo sanno i musulmani cambogiani accusati di aver partecipato ai riti della Tablighi Jama’at in Malaysia, o gli ebrei che qualche gruppo neo nazi vorrebbe oggi "purificare" col virus, da diffondere nelle comunità ebraiche.
Non è PURTROPPO una novità: «Alla metà del Trecento mentre la peste infuriava in Europa, – scrive Anna Foa nel suo monumentale Ebrei in Europa: Dalla Peste Nera all'emancipazione (2013) – una grande ondata di violenza si scatenò contro gli ebrei nelle città e nelle terre del mondo cristiano… i loro quartieri vennero assaliti… furono massacrati o costretti all’esilio… accusati di avvelenare pozzi e sorgenti... processati e bruciati sul rogo».
Ma non c’è solo l’assembramento religioso o il diffondersi dell’odio razziale tra i responsabili della diffusione di un virus. C’è anche la guerra. E’ il caso della Peste di Atene che colpì la città-stato durante uno dei conflitti del Peloponneso nel 430 a.c. La sua diffusione (forse una forma di tifo) era dovuta all'affollamento causato dall'afflusso di rifugiati per la guerra con Sparta. Ammucchiati, con poco cibo e acqua accanto a cumuli di rifiuti, convivevano con topi, mosche, zanzare e pidocchi. E ovviamente col virus.
Questo articolo è uscito venerdi scorso su Il Venerdi di Repubblica. Oggi invece lo stesso tema a Radio3mondo
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