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martedì 21 luglio 2020

Racconti birmani. La scoperta di Kalaw

In rotta per la remota regione di Kayah, ci lasciamo alle spalle la piacevole cittadina di Kalaw, forse 10mila abitanti e una sorprendente  sorpresa climatica e sociale. Quest’area del Paese, che è la porta di accesso al famoso lago Inle degli orti galleggianti e della filatura del midollo di ninfea, si trova a 1310 metri di altezza il che la rende simile ad altre stazioni termali asiatiche dall’aria fresca e delicata che spesso si incontrano ai tropici e che gli inglesi sceglievano per sopportare il caldo della pianura. Durante l’alta stagione deve essere un piccolo carnaio di turisti, ma nella bassa e per via del Covid-19, si respira un’aria vagamente “Ruggenti Settanta”, quando i viaggiatori erano pochi e, anziché evitarsi come accade ora, facevano subito amicizia (“corsi accelerati di amicizia” avrebbe detto Mario Dondero). Cosi la dolce Kalaw mi ricorda Kathmandu e i miei anni ruggenti sulle rotte indiane del Viaggio all’Eden: nuvole basse, aria umida e fredda di notte e, al mattino e durante il giorno, un sole piacevolissimo interrotto dalle piogge che si asciugano rapidamente su questa terra rossa circondata da pinete.

Kalaw vista dal monastero buddista che la domina
Tiziano Terzani, quello che considero il mio maestro in fatto di giornalismo (altro che Montanelli), venne qui qualche decennio fa' e si incontro’ con un missionario italiano che custodiva la chiesa cattolica di Cristo re, edificata al tempo della colonia britannica. L’ausiliario attuale, Padre Lucas - un sacerdote birmano che ha fatto i suoi studi nel seminario di Loikaw, un centro da cui proviene la gran parte dei preti locali - ha cominciato a servire a Kalaw appena il suo predecessore - Padre Paul, birmano pure lui, è morto - facendo avanti-indietro da Taunggyi, capitale dello Stato Shan e arcidiocesi. La chiesa è una costruzione degli anni Trenta, custodita all’inizio da quel Padre Angelo citato da Terzani e morto nel 2000: l’interno è appena stato ristrutturato e ogni domenica accoglie circa 400 fedeli da oltre una trentina di famiglie sparse nei villaggi attorno a Kalaw. Per diversi bambini (non solo cattolici) e' anche l'occasione per poter studiare: seguendo i corsi della piccola scuola cattolica o utilizzando il dormitorio per seguire le lezioni in altri istituti.

L'ex cinema ora ristorante indiano
Ma la chiesa di Cristo Re non è certo l’unica realtà religiosa di Kalaw, in una cittadina dove la maggioranza degli abitanti è buddista come il resto del Paese. Con gli inglesi arrivarono indiani, cinesi e nepalesi per custodire gli interessi dei sudditi di Sua Maestà in vacanza e soprattutto costruire la ferrovia che li portava sin qui e che tuttora funziona. Molti rimasero e oggi formano la multiforme comunità di Kalaw al di là degli shan che calano dalle montagne per colorare coi loro turbanti variopinti il bellissimo mercato locale. Ne è una prova la gentile signora che mi ha  ospitato per una settimana di ricche colazioni in una semplice ma delicata Guest House dal nome altisonante: Eastern Paradise. E’ di padre indiano e di madre birmana e sembra unire la gentilezza e l’acume dei due popoli.

Nuvole sulla Aung Chan Tha Zedi pagoda
Kalaw ha un’incredibile presenza di credi diversi – musulmani sunniti e sciiti, induisti, cattolici, protestanti, buddisti ovviamente – che raccontano di mercanti di legname iraniani o di agguerriti gurkha, membri della famosa brigata della British Army. Molti si stabilirono qui mettendo radici e questa variegata comunità vive però in totale armonia. “Quando ci sono le nostre feste religiose – spiega Shankar di un’importante famiglia indiana arrivata coi britannici per costruire la ferrovia – ci invitiamo reciprocamente. E ogni volta la comunità che invita prepara il cibo per gli invitati secondo le regole alimentari della comunità ospite”. Lo conferma Paolo Felice, agronomo cremonese che si è trasferito a Kalaw ormai da diversi anni. Gestisce con la moglie birmana Kaing Zar una famosa pizzeria dove, oltre agli “expat” in cerca dei sapori di casa, almeno la metà degli avventori sono birmani: “Questa è un’isola felice dove la gente vive in armonia e dove puoi trovare un tempio sikh e quello di una setta nepalese, la chiesa cattolica e quella battista e naturalmente la pagoda. Ma con rispetto, armonia e solidarietà”. Detto tra noi, benché io non sia un frequentatore abitale dei locali per expat, la pizza (due forni a legna e un'abilissima pizzaiola) è ottima, per non dire di certe penne al sugo di salsiccia o della mozzarella di bufala che Paolo si procura da un tedesco che la produce vicino a Yangon.


Cenetta conviviale al Kalaw Heritage, un albergo
 di epoca coloniale. Sotto lo staff
dell'Eastern Paradise, un piccolo paradiso
Proprio accanto al Red House Restaurant di Paolo e Kaing Zar, c’è la moschea di Kalaw che dista poco più di cento metri dalla pagoda di Aung Chan Tha Zedi, famosa perché ricoperta di piccoli mosaici di vetro luccicanti. I musulmani gestiscono varie attività commerciali accanto alla moschea dove incontriamo casualmente il maestro di arabo: “Lui si che lo sa parlare – dice sorridendo uno dei fedeli indicandolo – io posso giusto recitare il Corano!”. Ora la moschea è chiusa, come tutti i templi della città, per via delle restrizione del Covid-19. E anche alla chiesa di Cristo Re, cerchi rossi segnano la distanza fisica da tenere per chi visita le strutture ecclesiali. E, mannaggia al Covid, un piccolo tesoro di stupa nella montagna a due chilometri dal centro è chiuso lui pure e mi salta la visita...

Il piccolo gioiello di convivenza di Kalaw, se è un eccezione per la quantità di credi religiosi, non è
l’unico esempio di questo tipo in Myanamar: “Anche il piccolo centro di Pyin Oo Lwin – aggiunge Steffen Degenhardt, una guida turistica tedesca - è un crogiolo di comunità religiose che, come a Kalaw, convivono in perfetta armonia”. Piccole scoperte dove la bellezza del luogo si accompagna a un’esperienza a prima vista nascosta ma davvero stupefacente. Ma ora è tempo di partire. E visto che, per puro caso, ho fatto amicizia con Steffen, che tra l’altro parla un po' di birmano, mi faro' guidare da lui verso lo Stato Kayah, un’altra – immagino – piacevole sorpresa di questo fantastico Paese la cui conoscenza devo al Covid-19. Che per me, obbligandomi a un soggiorno forzato in queste lande, è stato una vera occasione per godermi il Myanmar.


Le prime tre foto (bruttine) sono opera mia. Le ultime due sono scatti di Steffen

1 commento:

Unknown ha detto...

Salve, sono la mamma di Marco che hai conosciuto a Kalaw. Anche per noi il Myanmar è stata una bella scoperta che mai avrei pensato di fare. Paese gentile e ospitale. Buona strada!
Maria Elda