Si tratta di oltre 9 miliardi di dollari, per la maggior parte congelati in banche americane (ma anche in istituti di credito europei e arabi) bloccati dopo la caduta di Kabul il 15 agosto. Nel dettaglio, si tratta di sette miliardi di dollari “congelati” negli Usa e di altri 2 miliardi congelati altrove mentre il contante “fisico”, stampato su ordine della Banca centrale afgana, si trova invece, congelato anch’esso, in Polonia. L’11 di febbraio il presidente Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo di spezza in due gli asset congelati in America: parte del denaro – 3,5 miliardi che dovrebbero essere affidati a un Trust Fund sempre gestito dal tesoro americano - tornerebbe in Afghanistan ma non nelle casse del regime che ha vinto la guerra, semmai condizionato al rispetto di alcuni punti decisi da Washington. Gli altri 3,5 miliardi resteranno congelati in attesa che la magistratura americana decida sulla richiesta di 150 familiari delle vittime dell’11 settembre (attentato cui gli afgani sono estranei) che vogliono che quel denaro li ripaghi della loro sofferenza.
“C'è un drammatico bisogno di invertire le politiche che hanno precipitato l'Afghanistan in una catastrofica spirale discendente che ha schiacciato l'economia, impoverendo enormi segmenti della popolazione, spingendo un quarto della popolazione sull'orlo della carestia e mettendo in discussione la sopravvivenza di milioni fa loro", sostiene Uai che ha lanciato una petizione (che si può firmare qui) affinché tutti i cittadini indignati dalla decisione di congelare miliardi di dollari in capo alle attività finanziarie afgane nelle banche statunitensi ed europee possano mostrare la loro indignazione.
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La foto è di Giuliano Battiston
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