Proprio mentre mi trovavo nel Sudest asiatico, l'Istituto per l'Oriente ha dato alle stampe in gennaio l'ultimo lavoro che abbiamo fatto assieme Guido Corradi ed io prima che un male oscuro ce lo portasse via il 6 giugno del 2021. Il dolore era così grande per la sua troppo precoce dipartita che non sono mai riuscito a scrivere nulla su di lui. Le parole spesso non bastano. Ma dovendo terminare il lavoro, era necessario scrivere almeno una postfazione nella quale rendere giustizia al grande lavoro che Guido aveva fatto negli anni per far conoscere l'arcipelago agli italiani. Oltre il dolore, il suo è un lascito: un'eredità che continuerà in altri. Pubblico qui quanto ho scritto alla fine de "La sfida indonesiana", una riedizione rivista ed allargata del primo libro che scrivemmo assieme anni fa: "La scommessa indonesiana".
Mentre mettevamo mano con grande entusiasmo nel 2020 a questo lavoro, Guido fu colpito da un tumore che lungo tutto il 2021 lo ha visto combattere contro quel male insidioso senza però risparmiarsi: continuò le lezioni di geografia al liceo Pasolini di Milano, la sua collaborazione in Geografia del turismo all’Università Bicocca, sia le tante attività di divulgazione pubblica della cultura indonesiana che hanno caratterizzato tutta la sua vita professionale dagli anni Novanta sino al 6 giugno 2021 quando ci ha lasciato. Anche questo lavoro ne ha sofferto perché ci eravamo suddivisi la revisione e l’aggiornamento dei vari capitoli e l’ultimo che Guido riuscì a consegnare è quello dedicato all’avventura delle spezie. Avrebbe dovuto rivedere anche i capitoli finali cui ho messo indegnamente mano io, dal momento che Guido, assai meglio di me, sapeva orientarsi nella geografia economica dell’Indonesia.
Naturalmente la sua dipartita non è stata solo un dolore professionale ma soprattutto umano. Ci eravamo conosciuti al ginnasio negli anni Settanta (anzi per dirla tutta nell'anno scolastico '67-'68), un periodo della nostra vita in cui un’immediata amicizia si era poi trasformata nella condivisione di tante esperienze, dall’impegno politico alla passione per i viaggi. Alla fine del liceo partimmo per un viaggio in Sudamerica che ci aprì gli occhi sul mondo. L’anno dopo andammo in Asia e forse li entrambi capimmo che era quello il posto che avremmo voluto davvero conoscere.
Alternando studio e lavoro, iniziammo a orientare i nostri interessi all’università ma la vera svolta arrivò al momento di fare la tesi. Mentre ero propenso a un lavoro sulle ferrovie indiane, Guido mi convinse che avremmo potuto fare di meglio in Indonesia: che quel Paese, da cui era appena tornato, era grande e meraviglioso, raffinato e gentile e che, tra l’altro, avvicinarsi alla lingua non era affatto dif ficile. Mi contagiò a tal punto, senza difficoltà, che cambiai il piano di studi e partimmo assieme per Giava dopo aver frequentato un anno di corso all’IsMEO sotto la direzione di Giulio Soravia, un linguista appassionato che alimentò la nostra passione indonesiana.
La tesi la facemmo insieme alle Molucche e, quando tornammo, avemmo la soddisfazione di poter presentare, sempre insieme, un resoconto del nostro viaggi alle isole Kai nientemeno che al III Colloquio internazionale di Studi malese-indonesiani, allora organizzato da Luigi Santamaria a Napoli. Conoscere personaggi come Alessandro Bausani o Denys Lombard, e ricevere da loro i complimenti per quel lavoro, ci convinse che avevamo fatto la scelta giusta. Il resto venne da sé.
Guido insegnò molti anni all’IsMEO. Assieme firmammo i primi numeri di Quaderni asiatici dell’Associazione Italia ‒ allora diretta dall’asiatista Sante Spadavecchia. Iniziammo a scrivere saggi e articoli per riviste scientifiche e quotidiani e continuammo a viaggiare in Indonesia. Guido soprattutto, perché si era prestato a fare l’accompagnatore culturale di tour organizzati da “Viaggi di Cultura” e poi da “Kel12”. Da ogni viaggio nel Sudest ci scambiavamo piccoli regali – sigarette al chiodo di garofano, piccole statuette del Budda – e inventavamo modi per continuare a lavorare assieme, anche se ci separavano le incombenze personali e la vita in città diverse. Questo saggio è stata l’ultima occasione comune, conclusa mentre il corpo fisico abbandonava Guido, giorno dopo giorno.
Nel suo lavoro di divulgatore della realtà indonesiana, Guido Corradi è stato in Italia la personalità di maggior rilievo dagli anni Novanta del secolo scorso. Benché personaggio schivo che non amava mettersi in mostra, il suo è sempre stato il primo nome che potesse venir in mente a chi doveva organizzare una conferenza, un dibattito, una lectio sull’Indonesia. E Guido si prestava sempre, con quella capacità di spiegare in modo semplice le cose complesse che si impara solo a scuola dall’interazione con gli studenti.
Studenti che lo adoravano – come chiunque lo abbia conosciuto – per quel suo fare gentile e un fascino particolare, visto che la bellezza dell’animo si riflette anche nei segni del volto. Un giorno al Vespucci, dove insegnava prima del Pasolini, una studentessa si avvicinò affannata a un collega di Guido: “Professore, a scuola è successa una cosa terribile!”. “Cosa?”, rispose il docente allarmato. “Il prof Corradi si è tagliato i capelli!”.
Nella foto sopra un'immagine recente di Guido pubblicata su Kel12. Sotto, la piccola cerimonia che con la moglie Monica e i due figli Tommaso e Daniele abbiamo celebrato ai piedi del Borobudur dove la sua famiglia (con alcuni amici) ha voluto portare un segno del corpo fisico di Guido. Sotto l'albero sacro, talea del primigenio dove Budda ebbe l'Illuminazione