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sabato 9 gennaio 2021

La croce e la miniera

La violenza nell'ex provincia di Irian Jaya (oggi Papua)  ha come vittime soprattutto civili tra cui diversi religiosi. La loro morte ha contribuito a squarciare il velo su quanto accade nella parte occidentale della Nuova Guinea.

“La sera del 24 dicembre 2020 il corpo senza vita di Zhage Sil, seminarista cattolico, è stato trovato in un fossato a Jayapura, città della Papua indonesiana. Secondo la polizia locale – scrive l’agenzia vaticana Fides - sono tuttora ignoti gli autori del delitto… Alla comunità di Sorong-Manokwari, diocesi cui Sil apparteneva, sono giunti numerosi messaggi di condoglianze di leader religiosi e laici che condannano fermamente l'atroce atto”. La vicenda che riguarda il seminarista è solo l'ultimo dei molti episodi che costellano il clima di violenza che avvolge la provincia indonesiana di Papua (ex Irian Jaya), la parte occidentale della vasta realtà insulare che conosciamo come Nuova Guinea, seconda isola al mondo per grandezza.

La violenza, nella parte occidentale che appartiene all’Indonesia, non ha particolari sfumature religiose ma ha visto diversi omicidi senza responsabili di protestanti e cattolici, cosa che li ha fatti venire alla luce gettando un’ombra sinistra sull’Indonesia del presidente riformista Joko Widodo, detto Jokowi. Se Zhage Sil stava per diventare diacono e quindi sacerdote nella diocesi di Jayapura, il motivo del suo omicidio sembra infatti riconducibile più alla sua attività di uomo sensibile ai diritti e non solo di religioso. Nelle parole di un collega, Sil “era una persona coraggiosa che si interessava dei bisogni delle persone, e non aveva paura di alzare la voce, soprattutto quando si trattava di giustizia". Il punto sembra stare qui (alzare la voce), dove si incrocia la lotta al razzismo contro i papuani (di pelle scura e per i quali si contano diversi episodi di esclusione razziale) ma anche il bisogno di giustizia su episodi oscuri, come nel caso del catechista laico Rufinus Tigau, ucciso nell'ottobre scorso nel distretto di Intan Jaya. Un caso che diventa virale e squarcia il velo del silenzio su quanto avviene a Papua e Papua Barat, le due province indonesiane della Nuova Guinea.

(continua su Lettera22)


mercoledì 14 gennaio 2015

Aspettando sua santità/1

Girando in bicicletta per le strade di quella che fu per un certo periodo la capitale delle Tigri del
Tamil Eelam -la guerriglia separatista attiva per trent'anni nell'area settentrionale e nord occidentale dello Sri Lanka – il numero di chiese che si incontrano è abbastanza impressionante, considerato che questa regione è abitata quasi esclusivamente da induisti. Eppure, benché il tempio di Nallur sia considerato forse il più importante luogo di culto indù dell'intera isola di Sri Lanka, la cattedrale bianco candida di St Mary lo batte in ampiezza e altezza. Proprio a fianco sorge il San Patrick's College dove la buona borghesia tamil studia prima che i prescelti siano spediti nei collegi romani a imparare, con l'italiano, l'arte del servizio ecclesiastico. Quasi tutti i vescovi srilankesi fanno questo percorso prima che venga loro attribuita una delle dodici diocesi locali, tra cui quella di Jaffna è, con l'arcidiocesi della capitale, la più importante.

Ma ieri l'alta gerarchia di una minoranza piccola ma colta e agguerrita (6-7%) era tutta a Colombo dove il papa è sbarcato di prima mattina per una visita pastorale e di Stato che oggi lo porterà proprio qui, in terra tamil, nel santuario mariano di Madhu, a qualche chilometro dalla città di Mannar, un'ottantina di chilometri e tre ore di autobus a Sud di Jaffna. La visita del papa accende molte
speranze in una terra martoriata da una guerra di cui si vedono ancora i segni nei muri di alcune case non più ricostruite e che sembrano essere rimaste a monito della follia umana. La piccola ma potente chiesa cattolica potrebbe svolgere un ruolo importante nel distendere le tensioni che esistono soprattutto tra buddisti singalesi e induisti (e in parte musulmani) della comunità tamil. Eppure le chiese sono così tante qui a Jaffna – cattoliche, metodiste, avventiste e chi più ne ha ne metta – e tutte col loro oratorio, il college o la casa famiglia, che forse a Francesco non deve mancare – come altrove – anche la preoccupazione di una penetrazione sempre più capillare degli evangelici. Anche tra coloro che aspettano il papa c'è chi - come ci fa capire Philip mostrandoci la Bibbia dei testimoni di Geova sul tavolo del suo ufficio – al Dio cristiano arriva in altro modo.

Il papa ieri a Colombo, nel suo incontro con i leader religiosi locali, ha detto comunque chiaramente che il dovere di responsabilità dei sacerdoti deve evitare «equivoci» che la fede non deve produrre in violenza e che solo la riconciliazione può seppellire gli orrori della guerra. Francesco vuole certo rafforzare l'energia che promana dall'intellighenzia cattolica locale - colta, aperta e pacifista (con qualche significativo distinguo su cui torneremo) - e che certamente riprenderà slancio con le sue parole sentendo vicino il lontano Vaticano; e sperando che lo sforzo serva a far guadagnare terreno al dialogo interreligioso, che fatica non poco in un'isola dove i due partiti buddisti – una DC locale che non disdegna l'incitamento all'odio – hanno accenti fortemente nazionalistico identitari preoccupanti.
Monaci combattenti: Gnanasara
leader del Bbs

Proprio ieri, forse sentendosi chiamato in causa e fiutando un possibile nuovo corso, il segretario del Bodu Bala Sena (Bbs) - Galagoda Aththe Gnanasara, un monaco che non vorreste incontrare in autobus se aveste segni di evidente laicismo o di altre fedi – ha detto che la sua organizzazione (considerata invece la più oltranzista) si è sempre ben guardata dal promuovere l'odio e la violenza contro i musulmani. Mentre è noto che proprio l'appoggio dei buddisti (radicali) all'ex presidente Rajapaksa aveva fatto del suo regime un autoritario ed esasperato conservatore sia dell'unità nazionale sia dell'identità buddista e singalese in chiave anti tamil e anti islamica.
Nell'attesa del suo più che simbolico arrivo oggi a Mannar, la capitale del Nord si è svuotata ieri nel pomeriggio proprio in vista dell'appuntamento al santuario della madonna di Madhu. «Stiamo andando incontro al papa!», ci dice persino il nostro albergatore di Jaffna concludendo frettolosamente la trattativa sul prezzo della stanza. E c'è un autobus che parte proprio dal vicino collegio John Bosco, dove l'immagine del fondatore dei salesiani benedice col nome tradotto in inglese coloniale ma l'eterno sorriso declinato in srilankese.

Sull'ex presidente Rajapaksa intanto si addensano nubi sempre più nere. Le voci di un tentativo di golpe bianco da parte del candidato sconfitto alle urne nel voto dell'8 gennaio (di cui vi abbiamo dato conto domenica scorsa) sono diventate un rumore tanto assordante da aver mosso il nuovo governo del vittorioso Maithripala Sirisena ad aprire un inchiesta. Il Telegraph di Colombo, giornale indigesto all'ex presidente, la racconta così: quando Rajapaksa si accorge verso l'una del mattino che il voto volge al peggio, convoca – su consiglio del ministro della Giustizia – il procuratore generale, il capo dell'esercito e quello della polizia proponendo un blitz nei seggi per bloccare il conteggio a fronte di carte preparate ad hoc che provano un pericolo per la democrazia srilankese. Ma i tre fanno fronte comune e gli dicono di no tanto che all'alba Rajapaksa già ammette la sconfitta che non sarà poi, per la verità, così clamorosa visto che Sirisena chiude con meno del 52%. Vero o falso il putsch (che lui smentisce decisamente)? L'inchiesta potrebbe stabilirlo e per l'ex presidente sarebbero tempi duri a meno che non vi sia un accordo tra i due. «Lo escludo – dice un professionista di Colombo che conosce bene la macchina del governo – ma è certo che Sirisena starà attento: Rajapaksa ha portato comunque a casa molti voti, specie nella campagne del centro Sud dov'è forte grazie a piccoli investimenti a favore degli agricoltori e grazie...alla generale ignoranza dei contadini». E il neo presidente, a capo di una larghissima intesa che lo sostiene, non vuole scontentare nessuno.
1/segue