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sabato 1 novembre 2008

AFGHANISTAN, DI MALE IN PEGGIO



Il grafico non lascia dubbi se la matematica non è un'opinione: e se nel 2004 più del 64% degli afgani pensava che le cose stessero volgendo al meglio nel loro paese, questa percentuale nel 2008 è calata al 38%. Un decremento sensibile dal 2005 in avanti che dimostra come, nell'arco di tre, su dieci afgani, due abbiano cambiato opinione. Perdendo la speranza nel futuro. Di pari passo la sensazione che le cose stiano andando di male in peggio è aumentata dall'11% al 32% trasformando un'esile nicchia di scontenti in una minoranza in forte ascesa. E si radicalizza anche l'area grigia degli indecisi che, se nel 2004 era solo dell'8%, è cresciuta negli ultimi anni sino a scendere poi, nel 2008, al 23%. Come dire: ormai è chiaro come vanno le cose. Male

A raccontarlo con un lungo questionario di domande e risposte è un sondaggio finanziato dagli Stati Uniti all'Asia Foundation, organismo che ha un ufficio a Kabul e che lavora su commissione per diversi attori presenti sulla scena locale.
Se la violenza e l'insicurezza restano temi sempre all'attenzione della gente (gli attacchi della guerriglia sono aumentati del 30% nel 2008 rispetto all'anno precedente, è salito il numero dei morti tra i civili e la guerra ha finito per andare anche oltre le aree di crisi del Sud come l'Helmand e la regione di Kandahar ndr), la crescita dei prezzi e dunque la condizione economica salgono precipitosamente nella scala delle preoccupazioni quotidiane degli afgani. E la prima domanda resta quella di sempre: avere almeno la luce in casa. Una promessa che non ha raggiunto nemmeno la capitale se non per due ore al giorno.
“C'è un chiaro trend verso un sempre più diffuso pessimismo” è l'amara conclusione del dossier che entra nel merito delle diverse percezioni su molti settori della vita sociale: dalla sanità all'educazione, quest'ultima tra le poche a destare piacevoli sorprese (il 70% vede il suo sviluppo con favore). Ma c'è anche una bella sorpresa per il presidente Hamid Karzai: sette afgani su dieci hanno fiducia nel suo governo. Il dato forse meno scontato della ricerca.
Anche l'Italia figura nel dossier, purtroppo con non grandi performance. Nella percezione comune, la ricostruzione si deve soprattutto ad americani (46%) tedeschi (10%) e giapponesi (8%), mentre agli italiani va un risicato 1%, davvero poco considerato l'impegno militare che ci pone quarti come numero di uomini impiegati e sforzo finanziario. E' la stessa percentuale di molti altri paesi e, cosa non sorprendente, dell'effetto Prt, i Provincial Reconstruction Team della Nato che, anch'essi, e nonostante il profluvio di propaganda a favore, guadagnano un misero 1% di attenzione. Si prende invece un 4% (dato degno di nota) l'impegno dell'India. L'Italia recupera nella domanda di riserva (quali altri paesi vi hanno aiutato nella vostra area) dove arriviamo al 3% (contro però, ad esempio, un 16% degli indiani).
“Afghanistan in 2008: A Survey of the Afghan People" ( disponibile sul web a questo indirizzo) si presenta come la più ampia ricerca sul consenso mai fatta in Afghanistan e copre tutte quante le 34 province del paese. La raccolta dei dati è stata fatta nel mese di giugno utilizzando personale afgano (543 tra uomini e donne) ed è basata su interviste random in un campione di cittadini sopra i diciotto anni per un totale di 6.593 persone.
Interessante e ricca di spunti (di cui purtroppo possiamo dare solo qualche indicazione) la ricerca - almeno a una prima sommaria lettura – appare però viziata da qualche grossa lacuna, a cominciare dal capitolo bombardamenti e vittime civili, praticamente assente e di cui qualcosa si può desumere solo spigolando tra domande e risposte mentre certamente avrebbe meritato assai di più (molto più interessante da questo punto di vista l'ultimo sondaggio disponibile ma già datato messo in cantiere dalla Bbc). Alla domanda “Quali ragioni o cambiamenti, comparando il passato, hanno reso a suo modo di vedere la maggior parte della popolazione più libera di esprimere la sua opinione politica nell'aera dove lei vive”? la risposta è rivelatrice: il 54% esprime l'opinione che ciò si debba a una maggior libertà di espressione (41%) o a buone condizioni di sicurezza nell'area (28% ) ma solo l'1% attribuisce questo merito alla presenza delle truppe straniere.

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