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martedì 2 dicembre 2008

IL RISENTIMENTO DEL PAKISTAN



Pare che Obama si sia consultato più volte con Condoleezza Rice prima della sua visita prevista in India e che ieri ha mandato un messaggio chiaro ai pachistani: “cooperate con trasparenza” con Delhi per colpire i responsabili di Mumbai. Gli americani sono forse i più preoccupati di quanto avviene in queste ore in Pakistan dove, nel paese messo sotto accusa, la reazione più forte viene, inevitabilmente, dall'esercito e dai servizi, più o meno direttamente tirati in causa nella vicenda che ha sconvolto la capitale finanziaria dell'Unione. E che minacciano addirittura di sottrarre forze alla guerra al terrore sulla frontiera afgana. In Pakistan la tensione è alta da tempo e la vittoria di Obama non ha mitigato la diffidenza di ampi settori della società civile e, soprattutto, di buona parte degli uomini in divisa verso gli Stati Uniti: rei di aver sottoscritto col grande nemico oltre confine un patto che consente a Delhi di appropriarsi di tecnologia nucleare benché a scopi civili.
La prima e più evidente reazione, testimone della forza dei militari pachistani, è stata la marcia indietro sull'invio del capo dei servizi di sicurezza dell'Isi, Ahmed Pasha, che – nelle intenzioni del premier Gilani e del presidente Zardari – sarebbe dovuto andare a Delhi proprio a dimostrare “trasparenza e cooperazione”. Ma dopo la scoperta della pista Lashkar-e-Toiba, un gruppo nella manica di esercito e servizi (Isi) più o meno deviati (Let fu però messo al bando già da Musharraf), il risentimento nei confronti degli indiani, sempre pronti a indicare nel Pakistan la madre di tutte le malefatte, han fatto tirare il freno ai militari. Infine, dopo le accuse prima indirette poi sempre più specifiche di Delhi a Islamabad e mentre l'Unione elevava la sicurezza nazionale a "livello di guerra", in rappresaglia il ministero della Difesa pachistano ha minacciato di spostare 100mila uomini dalla frontiera Ovest, dove sono impegnati contro talebani e qaedisti – a quella con l'India. Se un effetto i terroristi volevano ottenere, si può dire che il loro obiettivo è stato raggiunto.
Paese a guida civile ma tradizionale ostaggio di uno degli eserciti più potenti del mondo, attraversato dal potere occulto di uno tra i più autonomi e segreti tra i servizi segreti, il Pakistan vive ore di angoscia ma ampiamente annunciate. Ai militari ribolliva il sangue probabilmente già quando Zardari – che anche ieri, come ha fatto pure Washington, ha cercato di gettare acqua sul fuoco - annunciava qualche giorno fa di voler rinunciare al principio del “first strike” (con l'arma nucleare) in caso di minaccia alla sovranità nazionale. E ai servizi non è piaciuto lo smantellamento della sezione politica dell'Isi. Inoltre, ben racconta il clima di sospetto dei militari una mappa che circolerebbe in alcuni ambienti statunitensi - come ha rivelato la stampa americana - in cui si vede una mappa del Pakistan “tagliato” alle ali, con una zona di influenza indiana a Est e afgana a Ovest. Quando la notizia di è diffusa, in Pakistan la reazione è stata furiosa.
E' in questo clima che è scoppiato il caso Mumbai. Che rischia ora di trascinare militari e funzionari moderati dalla parte dei loro omologhi più radicali, islamisti e ultranazionalisti. Pronti a tutto pur di difendere il suolo patrio. Anche alla guerra.

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