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lunedì 12 gennaio 2009

SI METTA NEI MIEI PANNI


Guardando da qui le immagini di Gaza si resta colpiti forse né più né meno che a vederle da Roma o da Milano. Ma mi è venuto da pensare cosa deve provare un afgano mentre guarda le cronache di Al Jazeera che proiettano, su una città perennemente al buio, le luci tetre delle bombe al fosforo, l'ultima terribile novità di questa guerra. Come mi è già capitato di scrivere questo è un conflitto dove manca solo la benzina sul fuoco che gli israeliani stanno versando a piene mani sulla Striscia. Ma quella dannata benzina straborda, fuoriesce, si allarga come da un catino bucato. Arriva sin qui, nelle case di questi disgraziati che vivono in una città dove le strade sono un pantano, c'è luce elettrica un paio d'ore al giorno, quattromila bambini vivono per strada e la piega della bocca sembra sempre incline a una smorfia amara.
Mi son messo nei loro panni perché stasera, parlando con un locale, gli chiedevo se è pericoloso andare a Wardak, la provincia a sud di Kabul. Domanda retorica perché pullula di talebani. “E' pericoloso anche per gli afgani?”. e lui, ragazzone di 26 anni, mi sorride: “...per gli afgani no ma per me si, perché lavoro con gli stranieri”. Una volta un professore che traduceva per noi occidentali mi ha detto che sulla sua testa c'è una taglia di 500 dollari, dieci mensilità di un poliziotto. Ecco cos'è mettersi nei panni altrui. A volte non serve nemmeno la televisione.
Mi basta guardare il vocabolario.

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