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giovedì 5 febbraio 2009

L'ANIMA IN UN TE AL LATTE ALLA PACHISTANA


Saper raccontare e’ un’arte complessa. E poi raccontare cosa? Ci sono giorni in cui anche una citta’ sulla “linea del fronte” non racconta nulla. Eppure ce ne sarebbe: arrivato Ban Ki-moon, gia’ qui il capo supremo della Nato, forse in arrivo anche Holbrooke nei prossimi, dopo la sua tappa indiana (qui le visite si fanno sempre a “sorpresa”). Eppure ci son giorni che non raccontano nulla. E non e’ dunque il flusso delle notizie, sempre incessante quaggiu’, non gli spunti che offre uno splendido paese, tra cappelli qaraquli e gran buzkashi, ne’ le miserie di una guerra infinita che a volte forse finisce a pesar anche sull’anima di chi, come noi, ne sta fuori tra mille privilegi: la luce, l’acqua calda e tre pasti con pus cafe’, come lo chiamava il nonno di un mio caro amico.
Il fatto e’ che a volte siamo semplicemente noi che non raccontiamo nulla, che siamo anime di marmo vagolanti in uno spazio che ci sfugge e che, compressi da un tempo indeciso (se nevicar, piovere o far bello), cerchiamo di tirar fuori – come sto facendo io adesso - il sangue dalle rape anche quando non viene.
So bene quel che avrei voluto fare. Prendere una persona per mano ed entrare in un luogo accogliente, sdraiarmi sul tappeto e parlar con lei. Del nulla o di quel che succede. Sorseggiando te verde o, perche’ no, te al latte come lo fanno in Pakistan. Ecco, forse posso raccontare di come lo prepara il mio amico Arif, due lustri passati a fare il medico nei campi profughi, a sanar sofferenze tra malaria e tubercolosi. La’, verso Peshawar.
Fate dunque bollire il latte. Molto, molto zuccherato. Aggiungerete te nero di Ceylon quando il latte bolle, cosi’ che anche il te ne sia sopraffatto. E abbiate cura di metterci un po’ di cardamomo, ma appena un soffio. Anche solo le bucce di quel prezioso e profumatissimo seme. Scolate questa miscela in una tazza o in un bicchiere di vetro e magari, se avete quell’indica abilita’, fatelo precipitare dall’alto verso il basso, passandolo da un bicchiere a un’altro, perche’ la miscela si amalgami in questo bizzarro rovesciamento astrale. E’ un movimento rapido, come girar nella padella la frittata. E piu’ e’ rapido, e maggiore e’ la distanza tra un bicchiere e l’altro, meno liquido sverserete. Nemmeno una goccia.
Noterete poi che il te, lasciato riposare, si “macchia” in superficie di una leggera patina, che si fa subito pellicola. Bevetelo finalmente e, se siete stati in Pakistan o in India, lasciatevi guidare da quel sapore. Che oggi, anima dannata, mi trascina via da Kabul.


Today Photo Credit

2 commenti:

Paola Caridi ha detto...

C'è sempre qualcosa da fare, e da raccontare. Anche quando sembra che il tempo stia scorrendo via senza aver prodotto il senso di sé. Ti potrei raccontare, allo stesso modo, della sapienza di mettere una specie di crepe su di una lastra rovente di acciaio, per preparare i qatayef, i dolci del ramadan. E' così che entriamo nel mondo, perché abbiamo occhi aperti per guardare

Anonimo ha detto...

il chai è squisito, in effetti, e poi bollente come lo danno lava in un attimo le tazze usate da chi sa chi e appena tuffate in acqua fredda..

Enrica Garzilli