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giovedì 12 febbraio 2009

L'OCCHIO DEL CRONISTA


L'occhio del cronista, se è serio, guarda ai fatti. E, se è bravo, ai particolari. Ma l'occhio dell'uomo vede soprattutto quelli. Non guarda, vede. E certe immagini son pugni sulla spessa crosta delle nostre abitudini. Un grumo di cervello rosso di sangue, schiacciato sul marciapiede. Lo vedo in Tv e mi soffermo su quello. E quel pezzo di materia organica, ormai senza vita, mi fa venire in mente l'essere umano che la doveva contenere.
Una strage di afgani è il bilancio di ieri, nel capoluogo dove la sicurezza regna come il mantra indissolubile che recitiamo ogni giorno. Forse trenta morti, compresi gli otto kamikaze.
Sicurezza. Penso soprattutto alla mia, naturalmente, rassicuro gli amici e vado a far somma con l'ossessione generale che accomuna la comunità di internazionali che vive qui. Ma loro, gli afgani? La gente che avremmo come mandato di proteggere?
I piani di evacuazione sono per noi. Le macchine blindate sono per noi. I cavalli di frisia, per noi, I blocchi di cemento per noi. E loro? Mi chiedo allora se ne sto facendo una questione di etica e mi dico che no, non sono un moralista. Lo so che il mondo è fatto a scale, o meglio a gradini, e che io sono appollaiato su uno dei più alti. E non ho nessuna intenzione di scendere. Ma sono qui, come migliaia di altri, allo scopo di difendere questa gente dal suo futuro e a proteggere i loro sogni obnubilati dagli incubi del passato. Oppure no? Non voglio affrontare un tema geopolitico, né grandi temi dello spirito, voglio solo dare una risposta a quella macchia di sangue senza nome. Ma adesso è tardi e si rischia di straparlare su un argomento che richiede rispetto come la morte altrui. Il rispetto che richiederei se quella macchia rossa fosse la mia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

forse però il tuo mandato non è proteggere ma comunicare. Non penso che rientri nelle tue mansioni la politica.

Te lo puoi chiedere come blogger e come uomo, ma questa è un'altra cosa, che spesso non c'entra con la politica (quasi sempre).

Enrica Garzilli