A Kabul sul negoziato si respira un certo scetticismo. Anche perché, se le voci sugli incontri si susseguono, di certo c'è poco. E l'unico fatto che parla chiaro, senza tante elucubrazioni, è il Consiglio superiore di pace che Karzai ha appena varato per guidare la trattativa ma che, appena pubblicato, ha visto finire sotto accusa la maggioranza dei 68 membri che lo compongono: warlord con fedina non illibata, amici del presidente o suoi oppositori e tutti assai indigesti ai talebani. “Come si fa – dice un analista afgano – a trattare con uomini che appartengono all'Alleanza del Nord, i loro peggior nemici”?
L'articolo del Post era stato preceduto da uno “scoop” di Al Jazeera, che poi si è molto ridimensionato. In un hotel della capitale la tv del Qatar scopre un incontro “segreto” tra emissari di Karzai, di Islamabad e dei talebani. Ma in realtà si tratta del cugino del presidente, di un ex ministro talebano ormai passato col governo e, questa sì la novità, di tre inviati pachistani di rango anche se “non ufficiali”. La riunione viene poi declassata, chissà se per dissimulare il vero intento, a seguito dei lavori della conferenza tra i due Paesi tenutasi a Dubai. C'è infatti anche un contenzioso sul passaggio dei tir diretti da Est in Afghanistan che, passando dal passo di Khyber, nonostante un recente accordo benedetto da Hillary Clinton, i pachistani si ostinano a fermare; facendo scaricare tutte le merci che devono poi essere ricaricate su camion afgani (ieri era tra l'altro il settimo giorno del blocco pachistano ai rifornimenti per la Nato in Afghanistan). Avranno parlato d'altro?
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Il Post fa tutt'altra ipotesi e sembra privilegiare la pista saudita e Dubai come sede prediletta. Spiega che mullah Omar sarebbe preoccupato della piega che sta prendendo il conflitto e, in particolare, della troppa autonomia di cui si fanno forti gruppi più radicali. Ipotesi possibile e che dunque tornerebbe con la preoccupazione generale che la bilancia negoziale penda troppo dalla parte pachistana, una parte pericolosa perché vorrebbe guidare tutto il gioco in proprio. Un diplomatico occidentale ci spiega che “fu proprio Islamabad a far fallire, due anni fa, la mediazione saudita ma – aggiunge – pur di fare la pace, Karzai adesso è disposto a trattare con Islamabad. Costi quel che costi”. E gli americani?
Il Post, e non è l'unica voce a dirlo, sostiene che Washington è più che mai convinta che si debba negoziare ma è facile comprendere la difficoltà di far coincidere l'alleanza con sauditi e pachistani con la diffidenza d'obbligo nei confronti di due partner che giocano in proprio. Karzai intanto attraversa un momento difficile e un funzionario locale ci conferma “che passa da un umore all'altro, oggi piange domani accusa, ora dice una cosa, ora un'altra”. Nondimeno la gente sta con lui: “il presidente è una brava persona”, è il commento generale dell'uomo della strada. E ha fatto diversi colpacci ad effetto criticando i paesi stranieri colpevoli di far solo “i loro stessi interessi”, argomento nazionalista che fa colpo nel pashtun di Kandahar come nel tagico di Kunduz.
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