Se la supposta morte di mullah Omar, sbandierata dall'emittente afgana ToloTv, sia un regalo avvelenato dei servizi segreti afgani, che ne sono la fonte anonima, resta da dimostrare. Tanto quanto la morte del leader guercio e in turbante, l'ultima pedina del Grande gioco della guerra al terrore, o almeno la pedina chiave per dare scacco matto e dichiarare la partita, se non vinta, chiusa. La partita da chiudere è la guerra d'Afghanistan che troppo sta costando al governo di Washington, come a quelli di Roma o di Madrid, alle prese con una crisi di consenso su quel conflitto lontano e una crisi di portafoglio sempre più difficile da gestire.
Morto bin Laden non resta in effetti che il mullah Omar: defunto anche lui, verrebbe meno la ragione prima della guerra al terrore, che originò l'occupazione del 2001, e dunque si potrebbe tranquillamente iniziare il ritiro delle truppe già in agenda per luglio ma evitando che i repubblicani e qualche democratico inizino a lamentarsi sugli ideali traditi e su una missione incompiuta. Erroneamente mullah Omar viene ritenuto la prosecuzione del jihadismo con altri mezzi e questo tanto basta. Non è importante che i talebani, almeno dal 2006 se non prima, si siano smarcati dall'islam politico dello sceicco del terrore cercando di accreditarsi come un esercito di liberazione nazionale, interessato a cacciare gli stranieri e non a esportare la rivoluzione islamica. Se nell'immaginario collettivo Omar è figlio di bin Laden (e non solo il suo anfitrione), morto lui si potrebbero fare le valige in fretta. La sua morte inoltre dimostrerebbe che i pachistani collaborano nonostante tutto e che dunque persino sul quel fronte l'America di Obama sta mettendo le cose a posto. La sua morte potrebbe anche significare che Stati uniti e Pakistan hanno raggiunto l'accordo finale: la pace in Afghanistan a patto che Islamabad, con la luce verde di Washington, ne controlli percorso e indirizzo. Un indirizzo ovviamente favorevole al Paese dei puri.
Ma per adesso di certezze sulla morte del mullah non ce ne sono. Può darsi che la notizia sia un ballon d'essai dei servizi afgani per rivelare un gioco che forse è in agenda: il patto scellerato che scambia la testa di mullah Omar con la primogenitura pachistana sul futuro di Kabul e il tutti a casa per gli occidentali. Se è morto davvero invece e si sta solo cercando di aggiustare i particolari per una presentazione mediatica d'effetto, allora non resta che aspettare. Se il chierico di Kandahar è vivo emetterà uno dei suoi rari e asettici comunicati e una smentita un po' più decisa di quella affidata al solito portavoce talebano raggiunto al telefono in qualche assolata pietraia afgana (o pachistana).
Ma morto e non morto che sia, Omar sembra in effetti avere i giorni contati. Il suo cadavere è in effetti ciò che manca per terminare una partita che ormai tutti vogliono chiudere il più in fretta possibile. Checché questo voglia dire per i poveri cittadini afgani.
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