Mentre si alza il livello della tensione sulla questione siriana con gli Stati uniti che premono, la Gran Bretagna che scalda i muscoli, francesi e tedeschi che allacciano le cinture, l'Italia esprime – per una volta – non solo un'opinione rapida ma soprattutto antitetica alla possibile coalizione di volenterosi che in qualche misura si sta contando. L'Italia la guerra alla Siria non la farà e senza l'Onu non muoverà un passo. L'Onu: «l'unico quadro giuridico per noi imprescindibile».
La Nato discuterà giovedì prossimo della situazione a Bruxelles, ma dovrà tener conto delle parole di Emma Bonino: l'Italia, ha detto ieri la titolare della Farnesina davanti alle Commissioni Esteri di Camera e Senato, «non prenderebbe parte a soluzioni militari al di fuori di un mandato del Consiglio di sicurezza dell'Onu». Posizione netta che Bonino chiosa così:«si rafforza l'ipotesi che siano state le forze armate siriane a far uso di armi chimiche, sulla base di informazioni di intelligence che sono condivise dai partner e sulla base di testimonianze di operatori sanitari» ma, aggiunge la ministro, «non c'è una soluzione militare al conflitto in Siria, si deve continuare ad operare con grande determinazione per una soluzione politica, che si chiami Ginevra 2, un negoziato per avviare una soluzione di lungo periodo in Siria e nell'intera regione. Ribadisco – conclude la titolare degli Esteri - che l'Italia non intende fornire armi all'opposizione siriana».
Bonino tiene a spiegare, in un'aula attenta e con molti interventi di livello, che la decisione dell'Italia non deriva da una scelta di comodo e che la diplomazia italiana è impegnata a tutto campo. Per altro, per chi ha seguito le dichiarazioni di una ministro nota in passato per il suo interventismo, non è stato difficile notare la continuità con una posizione sempre molto prudente e che non ha mai sposato in toto la tesi di un appoggio incondizionato ai “ribelli” e non ha mai spinto sull'opzione militare. Bonino ha così finito per segnare una posizione dell'Italia nettamente diversa da quella sempre sostenuta dall'ex ministro Terzi, segnalando in modo inequivocabile che il nostro Paese non si limita a fare quello che si decide in altre sedi. Poiché una risoluzione del Consiglio di sicurezza che dia luce verde alla guerra è impossibile per il veto di Russia e Cina, altri nodi restano però aperti: quello delle basi, ad esempio, evocato da diversi osservatori. Ma, posto che per un attacco alla Siria ci sono Paesi molto più vicini, all'Italia non è stato chiesto, almeno finora, l'utilizzo di basi poste sul territorio nazionale in vista di una eventuale azione militare di altri Paesi contro Damasco. E comunque, scrive l'Ansa citando fonti del governo, se questa azione avvenisse al di fuori dell'egida Onu, l'utilizzo delle basi sarebbe escluso.
Le voci contro un intervento sono tante in Italia, come quella della Croce rossa attraverso il suo presidente Francesco Rocca che dice chiaramente che «non si spegne il fuoco con altro fuoco» e che serve un intervento diplomatico e non una nuova guerra per affrontare la crisi siriana. Si muove anche il movimento pacifista con un appello della Tavola della pace per “agire concretamente senza dover ricorrere all'intervento armato”.
Per adesso dunque la partita che giocheremo sarà solo diplomatica. Una riunione a livello ministeriale dei Paesi "Amici della Siria" e dell'opposizione si terrà il 4 settembre e quella sarà un'altra occasione per ribadire la posizione italiana, sempre che non accada qualcosa prima come si sta ventilando in queste ore. Venti di guerra che non piacciono nemmeno alle borse: quelle delle monarchie petrolifere del Golfo hanno accusato forti perdite a fronte di un possibile attacco. E Milano non è stata da meno: Piazza Affari ha chiuso in deciso calo, con perdite del 2,34% a 16.579 punti per l'indice Ftse Mib.
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