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venerdì 20 giugno 2014

Crisi afgana. Come la pensa Ashraf Ghani

Alla vigilia della crisi, è la tarda mattinata di ieri, Ashraf Ghani fa circolare la sua versione dei fatti. Già la sera prima aveva twittato un paio di messaggi alla volta del suo rivale: toni pacati ma fermi. E, con un tam tam di sottofondo, l'ex ministro dalle buone letture, il tecnocrate che piace ai laici e sembra aver convinto una larga parte della gioventù afgana, ribadisce che l'unica linea da seguire è, sul piano legale, la Costituzione e su quello etico la trasparenze. Ci cono contestazioni? Bene, la Commissione per i reclami è lì per questo. I commissari elettorali han dato troppo presto e con leggerezza i dati sull'affluenza? Ci sarà tempo perché arrivino i dati ufficiali, un lavoro per esperti non per chi vuole fare illazioni.


Il suo staff ha i dati che gli osservatori del candidato Ghani hanno raccolto nei seggi, ma il presidente in pectore – cui le prime proiezioni, gli exit pool, le indiscrezioni e le relazioni dei suoi nei vari seggi danno vincitore di diverse lunghezze – li tiene per adesso per sé. Gli unici dati accettabili, ribadiscono i “ghaniani”, sono quelli che il 2 e il 22 luglio la Commissione elettorale elargirà come ufficiali. Regole insomma e non supposizioni. Criteri assodati e sottoscritti da ambi i candidati, non illazioni o costruzioni su elementi non ufficiali. E se poi è solo una mossa per negoziare qualche posto al sole nel futuro governo, Ghani fa sapere che non è disponibile per  nessuna trattativa segreta.  Quanto a Karzai, Ghani – che pure ha avuto col presidente uscente più di uno screzio – ne rispetta l'imparzialità senza tirarlo (diremmo noi) per la giacchetta. Ma basteranno i toni rassicuranti e urbani di questo personaggio sulla cui ascesa nessuno avrebbe scommesso? Basterà richiamarsi alla Costituzione, alle regole o alle garanzie che la comunità internazionale richiede per evitare il patatrac? E' presto per dirlo. Mentre sulla capitale scende la sera, Hakim fa spallucce davanti alle nostre preoccupazioni: «La situazione politica è grave? Uff, qui abbiamo visto ben di peggio». Purché il kalashnikov continui a rimanere con la sicura.

Intanto i talebani vanno avanti: un gruppo di kamikaze  ha  incendiato almeno 37 veicoli della Nato al porto doganale di  Torkham, alla frontiera col Pakistan (Passo Khyber). Crisi o non crisi la guerra continua.

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