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mercoledì 25 marzo 2015

L'accordo con gli Usa che non piace ai talebani (che condannano l'omicidio di Farkhunda)

Per ora è difficile dire se l'attentato di oggi a Kabul (sette morti e quasi quaranta feriti)  sia la risposta a quel che Ashraf Ghani è riuscito a ottenere a Washington dove ieri ha incontrato il presidente Obama. Quel che è certo è che gli americani rimarranno in forze più del previsto - anziché dimezzarsi entro fine 2015, i quasi 10mila soldati di stanza in Afghanistan ci resteranno fino a fine anno per diminuire poi nei due successivi - come è anche certo che un accordo simile, per quanto abbastanza scontato e ampiamente annunciato fra le righe, sicuramente non può piacere alla guerriglia che fa dell'estromissione degli stranieri il suo paletto più importante. Ma ci sono talebani e talebani e, almeno finora, l'attacco di Kabul non ha rivendicazione né diretta motivazione. Chi lo ha fatto non si sa. Si sa invece che Zabihullah Mujahed, il "portavoce" ufficiale, ha condannato l'orribile omicidio di Farkhunda, la donna accusata falsamente  di aver bruciato il sacro Corano. E se i talebani prendono posizione, video e foto  - dove chiaramente si vedono furia e volti degli assassini - permetteranno  probabilmente almeno di fare giustizia. Ma torniamo a Ghani il cui viaggio americano è stato accompagnato da questa orribile vicenda e da notizie di vari attentati di routine.

All'arrivo al Congresso, dove ha tenuto un discorso  ai parlamentari, è stato accolto da una standing ovation di cinque minuti. Poi ha fatto l'afgano buono e amico degli americani: riconoscente e fiducioso, tutto il contrario di Hamid Karzai che ha fatto ballare l'Amministrazione per mesi senza firmare l'accordo sulla sicurezza (Bsa) che ha di fatto spianato la strada - una volta siglato da Ghani -  a un nuovo rapporto con gli Stati uniti. Tutto ciò ha permesso di ottenere al duo afgano (c'era infatti anche Abdullah)  la promessa  dal segretario di Stato John Kerry a da quello alla Difesa Ashton Carter che ci saranno i soldi per mantenere esercito e polizia nazionali (350mila uomini) e che ci saranno anche 800 milioni di dollari per l'agenda di riforme del  governo. Quanto ai soldati che restano, non era probabilmente questo il vero obiettivo di Kabul, benché il risultato principale sia stato sbandierato come tale: con oltre 100mila soldati Nato già tornati a casa, l'Afghanistan è non peggiorato tanto dal punto di vista militare (aumentano attentati e vittime ma le bocce sono sostanzialmente ferme) ma soprattutto da quello economico. Centomila soldati e quasi altrettanti contractor diventano un affare che fa girar moneta oltre a costituire una sorta di garanzia psicologica per gli investitori. Se la macchina della guerra si ferma (senza che arrivi la pace) le cose  tendono a complicarsi. Kabul ha bisogno di soldi più che di soldati. Ghani ha portato a casa entrambi. La storia dovrebbe averci insegnato che aihnoi non v'è l'uno senza l'altro.



Vale la pena comunque  di soffermarsi un momento sulla politica negoziale di Ghani. I talebani per ora hanno smentito i rumors su negoziati tra Kabul e la cupola di Quetta, ma forse qualcosa si muove. Si muove soprattutto sul fronte afgano pachistano con un riavvicinamento tra due Paesi sempre molto distanti. C'è chi ha criticato Ghani per questa iniziativa (che tra l'altro trova a Islamabad interlocutori molto interessati) che invece sembra una buona pista per tagliare le gambe alla guerriglia e quindi spingerla a negoziare. Se i conti a livello internazionale si aggiustano anche con l'Iran, allora Ghani avrà due fronti su cui giocare: i più importanti perché riguardano i due Paesi confinanti. Potrà allora iniziare finalmente una partita negoziale per ora ancora ai suoi inizi.



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