Infografica di Al Jazeera: anche la tv del Qatar in queste ore è un pezzo di propaganda probellica |
L'attacco
deciso dall'Arabia saudita - cui partecipano i Paesi del Golfo con
l'appoggio giordano, egiziano, marocchino e pachistano con l'avallo
di Stati uniti e Gran Bretagna, costituisce un pericolosissimo
precedente. Non che sia la prima volta che un Paese decide di
intervenire nel giardino di casa (gli Usa a Panama ad esempio nel
1989 ) ma è forse la prima volta che, in tempi rapidissimi, una
coalizione di volenterosi si mette assieme e manda cento caccia a
bombardare senza nemmeno tentare né un passaggio negoziale, né il
coinvolgimento – almeno di facciata – delle Nazioni unite. Avallo
delle grandi potenze da una parte, silenzio degli altri grandi attori
dall'altro (con l'esclusione di Cina e Russia e ovviamente dell'Iran)
sono il corollario perfetto che ammette le soluzioni di fatto nelle
aree di rispetto delle proprie zone di interesse. Da lì alla guerra
permanente e diffusa in cui ciascuno decide il destino della sua
aerea di influenza con le armi grazie al silenzio assenso degli
alleati, il passo è così breve che è forse già stato fatto. Se
almeno prima c'era una sorta di passaggio negoziale che teneva conto
almeno simbolicamente del parere altrui, adesso va bene così. Certo,
Israele ha fatto altrettanto a Gaza, ma lo Yemen, a differenza di
Gaza, è uno Stato sovrano riconosciuto a livello internazionale.
Dal punto di vista del diritto (da quello umano è la stesa cosa),
siamo di fronte a un passaggio radicale più preoccupante, del resto
già avvenuto nel 2009 quando Riad attaccò il Bahrein nel silenzio
assenso generale.
L'unione europea?
Federica Mogherini |
L'unica voce fuori dal coro è stata ieri quella di Federica
Mogherini che ha twittato come “la guerra non sia mai la
soluzione”, ma è poco. Un tweet (che riprende il suo comunicato ufficiale) non è sufficiente a mettere un
paletto anche se alla responsabile della diplomazia europea tocca tener conto
del fatto che uno dei Paesi membri più importanti, la Gran Bretagna,
aveva appena assicurato il suo avallo a Riad e compagni limitandosi
ad aggiungere che “una soluzione negoziale va trovata”. Da questo
punto di vista il tweet di Mogherini è persino coraggioso (non sarà certo piaciuto né a Londra, né a Parigi) ma resta
poca cosa. Si sta ormai ribaltando un concetto chiave dei rapporti
internazionali: il “prima ti bastono e poi parliamo” surclassa la
regola elementare secondo cui “prima parliamo poi, nel caso, ti
bastono”. Si lascia spazio al solo bastone. Poi probabilmente non si parlerà neppure. E' questo il mondo che
vogliamo?
L'Italia
L'export italiano di armi italiane tra il 2005–2009 e il 2010–14 è cresciuto di oltre il 30% |
Temo
che quanto sta accadendo abbia lasciato indifferenti i più: oggi sui
giornali italiani c'è più spazio ala vicenda, ma ieri La Repubblica, quotidiano
progressista, dedicava alla guerra un trafiletto a pagina 17 (di contorno alla notizia sui jihadisti nostrani) e invece
il primo sfoglio alla tragedia dell'areo caduto in Francia.
Centocinquanta morti sono una (cattiva) notizia, ma una guerra
nemmeno tanto lontano da casa non meriterebbe altrettanto? E l'Italia del resto che fa? Sembra, al solito, poco conscia di quello che accade e del
ruolo che potrebbe avere. Anzi poco conscia del ruolo che ha; sauditi
e Paesi del Golfo sono i primi acquirenti delle nostre armi e Roma
non si è neppure sognata di fare come la Germania che ha decretato
lo stop di vendite a Riad dopo che sono venute alla luce le sue
responsabilità nella nascita e crescita dell'Is (per la verità il governo non ha smentito né ammesso la notizia della Bild). Potremmo almeno
smettere di finanziare la guerra?
Guerra per procura
Guerra sia detto lateralmente, il
cui evidente obiettivo non è certo lo Yemen. La guerra strisciante
tra Riad e Teheran sta emergendo in superficie. Forse è il caso di
pensarci un momento. Altro che minaccia terroristica. La guerra è
alle porte e noi le stiamo dando le spalle (si veda l'ottimo articolo di Michele Giorgio oggi su il manifesto).
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