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giovedì 10 settembre 2015

Scarpe: il momento di cambiare passo

Le jutti indiane: diffusissime
ma sempre di meno
Al bazar di Bombay, un paio di jutti senza decorazione – la tradizionale scarpa di cuoio originaria dell'India del Nord – può costare un paio di euro. Si arriva a dieci se si compra il modello con plantare che si trova, seppur ormai con difficoltà, nei negozi di calzature di lusso. Anche molti indiani infatti hanno smesso di portarle per preferirgli copie di modelli stranieri o originali che hanno gli stessi prezzi delle vetrine italiane.

 Può sembrar buffo non trovare quasi più le jutti “base” (quelle istoriate per i matrimoni si comprano nei negozi specializzati) nel Paese che le ha inventate: ma anche questo è un effetto della globalizzazione che ha investito l'India, sino all'altro ieri la nazione più tradizionalista del mondo in fatto di moda. Il paradosso è poi che gran parte delle “originali” straniere vengono fabbricate proprio nell'Unione. A salari spesso ridicoli e con un ricarico per l'ideatore del modello che, grazie a una manodopera ampia e a basso costo, fa la sua fortuna su ogni stringa allacciata o sulle décolleté.

Nel mondo si fabbricano ogni anno circa 22 miliardi di paia di scarpe che per l’87% sono prodotte in Asia. La Cina fa la parte del leone e si stima che su tre paia di scarpe due siano Made in China. Quelle di buona qualità, quelle in cuoio come le jutti, sono sempre un patrimonio cinese: il 40% del totale. Poi ci sono Italia e Messico (col 6% di quota di mercato ciascuno), Brasile e, appunto, India dove si fabbrica il 4% delle scarpe del mondo. In termini percentuali vuol dire che l'Unione indiana produce poco meno di 900 milioni di paia di scarpe. E' chiaro che non sono fatte solo per il mercato interno, in una Paese dove nemmeno tutti le hanno ai piedi dove per lo più si sfoggiano infradito.




Infradito: fabbricate
ovunque, portate
 da mezzo mondo
Diciotto organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani - dall'austriaca Südwind Agentur all'Italiana Abiti Puliti, dal Trade Union Rights Centre indonesiano all'indiana Society for Labour and Development – hanno deciso di vederci chiaro in un mondo che, come quello del tessile o degli accessori, nasconde spesso violazioni di diritti elementari tra cui quello di avere un salario dignitoso per il proprio lavoro. Se le scarpe sono nel cuore e negli armadi di tutti noi – uomini e donne senza distinzione – lontano dal cuore e dagli occhi è la realtà di chi le produce. Così lontana che, forse per la prima volta, qualcuno tenta di far fare un nuovo salto alla nostra coscienza: oltre le magliette prodotte in Bangladesh o i palloni e i tappeti assemblati in Pakistan.

 Si, certo, case importanti come la Nike sono già entrate nell'occhio del ciclone e per battaglie transnazionali che hanno ottenuto risultati. Ma ora la Campagna “Change Your Shoes” (Cambia le scarpe) si propone di far capire a tutti cosa c'è dietro il mondo delle calzature: oltre alle violazioni e al problema dei salari, l'impatto ambientale ad esempio o la scarsa trasparenza sui prodotti con cui camminiamo ogni giorno....

 (continua su Lettera22)


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