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mercoledì 7 settembre 2016

Bombe a Kabul e la difficoltà dello spazio umanitario

Come se i morti non bastassero – almeno una trentina lunedi più almeno uno nella notte tra lunedi e martedi oltre ai guerriglieri suicidi o uccisi e a un centinaio di feriti – c’è anche un giallo nell’ennesimo attacco suicida che costella ormai la quotidianità della capitale afgana. Un giallo sull’obiettivo e, ancora una volta, un problema che riguarda l’azione militare e lo spazio umanitario*.

Il primo attacco dei talebani a Kabul è di lunedi quando per l’ennesima volta la guerriglia cerca di colpire il ministero della Difesa. In quella che per il sito degli islamisti è una vittoria che avrebbe un bilancio di 58 agenti delle forze di sicurezza uccisi (poi la notizia è scomparsa ieri misteriosamente dal website dell’emirato), la carneficina soprattutto di civili si conclude con almeno una trentina di vittime. Ma non era l’unica azione prevista, benché per la seconda non vi sia ancora una rivendicazione scritta. Alcuni militanti armati, con l’aiuto di un autobomba, prendono d’assalto Sharenaw, la zona della città dove hanno sede le ambasciate e molte Ong che lavorano nel Paese (in quella zona c’è anche l'ospedale di Emergency). L’esplosione sventra un edificio. Poi comincia un vero e proprio assedio che si conclude solo il giorno seguente. Il giorno seguente perché l’attacco avviene di notte (il che segna una novità poiché gli attentato notturni sono rari) e quando la città pensa che forse per questa giornata di lunedi la guerra nella capitale sia finita. Il ministero degli Interni non ha dubbi: il colpo da assestare, che fortunatamente produce una sola vittima, è la Ong Care, che nella zona colpita ha una sede della sua rete internazionale in Afghanistan. Ma dopo un po’ l’organizzazione smentisce, sostenendo che il probabile target poteva invece essere un ufficio governativo situato a ridosso della sede umanitaria. La cosa fa una bella differenza e per ora la rivendicazione che viene citata da alcuni siti Internet non chiarisce quale fosse l’obiettivo. Se fossero gli attivisti di un’organizzazione umanitaria la cosa avrebbe un peso diverso che non se si fosse trattato di un obiettivo governativo. Non sarebbe la prima volta che gli umanitari entrano nel mirino, ma solitamente i talebani colpiscono solo gli afgani “collaborazionisti” (e di solito nelle aree periferiche) oppure attaccano obiettivi militari contigui facendo danno ad altre strutture (e potrebbe essere questo il caso) o ancora colpiscono umanitari per errore (famoso il caso di alcune cooperanti uccise mentre viaggiavano a bordo di auto bianche di solito in uso agli umanitari che però la Nato continua a usare benché proprio un comandante italiano di Isaf, anni fa, ne avesse vietato l’utilizzo proprio per evitare spiacevoli errori).


Care, in un comunicato successivo, punta l’indice sulla guerra e sulla difficoltà di operare in uno spazio umanitario sempre più ristretto e rischioso. “Secondo le Nazioni Unite – scrive l'organizzazione umanitaria nel suo cominciato - più di 5.100 civili sono stati uccisi o mutilati a causa del conflitto in atto nella sola prima metà del 2016... Oltre otto milioni di persone in Afghanistan hanno bisogno di assistenza umanitaria: soffrono di malnutrizione, hanno un sistema sanitario a pezzi mentre la maggior parte degli sfollati sono donne e bambini… Lo spazio umanitario è diventato molto più rischioso in questi ultimi anni, soprattutto nelle zone in cui vi è un conflitto intenso. Nonostante questo – continua Care che opera nel Paese da cinquant’anni - siamo desiderosi di riprendere il lavoro importante che stiamo facendo in Afghanistan il più presto possibile. Detto questo, siamo fortunati perché nessuno fra noi è stato ferito in modo grave o peggio, e come organizzazione continuiamo a sottolineare che una linea rigorosa deve essere osservata tra le operazioni umanitarie e quelle militari”. Un vecchio problema, uno fra i tanti della guerra che non finisce mai e mentre a Kabul i vertici del governo continuano a litigare. Se ne sono accorti anche gli americani, gli artefici del papocchio istituzionale benedetto dal ministro Kerry che “governa” a Kabul (due presidenti invece di uno): qualche giorno fa il Washington Post ha scritto questo titolo: “L'Afghanistan ha molti problemi. Il suo presidente potrebbe essere uno di questi”… I talebani sembrano approfittarsene e anche Daesh è riuscita a fare la sua apparizione nella capitale (con l’attentato che ha ucciso un’ottantina di hazara sciiti che manifestavano in centro). E per i talebani è ancora l’Operazione “Omari”, dedicata a mullah Omar e al capo talebano che lo ha sostituito – mullah Mansur – ucciso da un drone americano in Pakistan la primavera scorsa. Un gesto che ha dato nuovo vigore alla guerra e assestato un ennesimo deciso colpo al processo di pace. Per ora morto e sepolto.

*Mentre scrivo, dall’Italia, la giornalista Laura Cesaretti (da Kabul) avverte di un nuovo attentato una volta aclato il buio. Il terzo dunque in due giorni

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