Gli avieri statunitensi delle Forze speciali, impegnati da mesi in una campagna di bombardamenti aerei in Afghanistan, hanno sganciato ieri un ordigno da undici tonnellate di esplosivo nel distretto di Achin, nella provincia orientale di Nangharhar al confine col Pakistan e considerata la base dello Stato islamico nel Paese.
La bomba Gbu-43, nota anche come “Moab” ( massive ordnance air blast bomb ma in gergo mother of all bombs) è la più grande bomba non nucleare mai sganciata. Il primo test dell’ordigno è del marzo e poi nel novembre del 2003 e, a parte i test, non si aveva mai avuto notizia di altri lanci. Quello di eri, alle sette di sera, è dunque un duplice messaggio. Allo Stato Islamico ma indirettamente anche a Mosca che, proprio in queste ore, sta ultimando i preparativi di una conferenza sull’Afghanistan in agenda da mesi. Al meeting, cui saranno presenti oltre agli afgani i delegati di Cina, India, Pakistan, Iran e delle repubbliche centroasiatiche dell’ex Urss, era stata invitata anche Washington che aveva però opposto un diniego. Convitato di pietra, Trump si è invece auto invitato ieri mettendo a segno un colpo clamoroso proprio nel Paese di cui si sta per discutere a Mosca. E non è l’unica notizia di un rinnovato attivismo americano in Afghanistan (da cui a breve sapremo l’entità del danno provocato dall’ordigno). Sempre alla vigilia del meeting organizzato da Putin, Trump ha annunciato l’arrivo imminente a Kabul del suo National Security Adviser, il generale McMaster. Il presidente ha annunciato il suo invio – è il funzionario di Stato più alto in grado a visitare Kabul da che Trump si è insediato - durante una conferenza stampa ma si è limitato a dire che il viaggio – di cui per ora non si conoscono né la data né altri dettagli – servirà a capire “che progressi si potranno fare con i nostri partner afgani e i nostri alleati della Nato”. Nel giro di boa che Trump sta facendo rispetto alle sue promesse elettorali (tra cui quella di lasciare l’Afghanistan) non c’è solo la nuova apertura nei confronti di una Nato “non più obsoleta” ma anche la possibilità, sostengono gli osservatori, che la Casa Bianca decida per un aumento delle sue truppe, come peraltro richiesto dal generale John Nicholson, comandante delle forze straniere nel Paese. La bomba sembra esserne il biglietto da visita.
L’Afghanistan conosce dunque una nuova escalation anche se di fatto una campagna di bombardamenti aerei nel Sud del Paese è in atto da mesi. Ancora non si conoscono gli effetti di questa massiccia operazione ma i dati del solo anno trascorso parlano chiaro: l’anno passato le vittime civili sono state oltre 11mila: 3512 morti (tra cui 923 bambini) e 7.920 feriti (di cui 2.589 bambini), con un aumento del 24% rispetto al periodo precedente. Ma il rapporto di Unama, la missione Onu a Kabul, spiegava anche che i bombardamenti aerei – afgani e internazionali – pur se responsabili “solo” del 5% delle vittime nel 2016, rispetto al 2015 hanno raddoppiato il loro bilancio: 250 morti e 340 feriti, i numeri più elevati dal 2009. Forse per difetto, perché - ad esempio - i bombardamenti coi droni non sono calcolati in quanto operazioni secretate. Le manifestazioni di protesta si susseguono e anche se spesso si manifesta contro la guerriglia, non meno spesso gli afgani manifestano contro le bombe che da un anno a questa parte cadono sempre più frequentemente.
Nessun commento:
Posta un commento