E’ un’agenda zeppa di impegni quella che il presidente americano Donald Trump, arrivato martedi sera a Roma, ha davanti prima del suo ritorno in Italia per l’incontro del G7 in Sicilia. Tra le due tappe italiane c’è infatti il summit della Nato a Bruxelles dove, accanto ai partner dell’Alleanza, Trump vedrà anche i presidenti della Commissione e del Consiglio europei, Jean-Claude Juncker e Donald Tusk, ma anche il neo presidente francese Macron o il difficile alleato turco che Erdogan rappresenta. Non è ancora chiaro infine cosa dirà sui due temi di punta del vertice: la spesa militare della Nato – prima definita «obsoleta» poi rivalutata a struttura ineludibile – né in fatto di guerra al terrorismo. Una guerra che, dicono le indiscrezioni, si basa anche su una nuova strategia americana in Afghanistan con un aumento delle truppe di terra: statunitensi e dell’Alleanza. Sul due volte spinoso tema russo ucraino forse sorvolerà.
Prima di partire per Bruxelles Trump vedrà il papa, nelle prime ore del mattino, e poi Mattarella e Gentiloni. L’accoglienza a Roma ha già visto muoversi diverse associazioni anche di “expat” pacifisti americani che contestano la sua politica guerrafondaia di cui Trump ha dato prova coi bombardamenti in Siria e con la “madre di tutte le bombe” (Moab) sganciata il 13 aprile in Afghanistan. Una bomba che al papa non è proprio piaciuta: «....la mamma dà vita – ha detto Francesco al recente Meeting delle Scuole per la pace – le bombe danno morte». Chissà se il santo padre toccherà l’argomento.
Due settimane fa la stampa americana ha dato notizia di una nuova strategia messa a punto dal Pentagono e caldeggiata dal consigliere per la sicurezza di Trump, generale McMaster, che prevede un aumento di truppe sul terreno (da 3 a 5mila a sostegno degli 8400 già presenti in Afghanistan) ma anche un nuovo modo di condurre la guerra: le decisioni sulla sua gestione passerebbero però direttamente dal Pentagono senza bisogno della sigla del presidente e gli Usa si sgancerebbero (più di quanto non facciano ora) dalla catena di comando afgana, con più mano libera dunque, come ha dimostrato proprio il lancio della Moab. Secondo l'editorialista americano Eli Lake (Bloomberg View) il piano prevederebbe in realtà una forza di soli americani pari a 50mila uomini che però non dovrebbero essere soli. Ecco perché il segretario generale Nato Jens Stoltenberg ha lavorato in queste settimane chiedendo un aumento anche ai partner. Oltremare avrebbe guadagnato una promessa dall’Australia e un “ni” dal Canada. In Europa Londra e Copenaghen hanno già detto si. La Germania ha risposto picche. Altri tentennano, altri ancora – come la Polonia – potrebbero farci un pensierino. L’Italia ancora non si sa. E proprio rispetto alla posizione italiana, altre voci si sono intanto aggiunte a quelle della Tavola della pace e di “Afgana” che hanno chiesto al governo italiano di opporsi a un nuovo aumento di truppe in Afghanistan dove mancano - aggiunge Pangea Onlus - «politiche e finanziamenti per promuovere l’avanzamento delle donne, il contrasto alla violenza e l’applicazione di programmi sulla base delle risoluzioni Onu».
I giochi comunque dovrebbero essere già fatti anche se Trump, noto per i suoi repentini cambiamenti di idea (era contrario a impegnarsi militarmente all’estero in campagna elettorale) potrebbe spiazzare: o essere molto prudente (non facendo numeri) o molto netto chiedendo agli alleati l’impegno militare a sostegno del nuovo “surge”. Come ha detto proprio McMaster : America first didn't mean America alone. La supremazia americana, grande totem di Trump, non si può costruire da soli.
Nessun commento:
Posta un commento