Dopo che per due giorni Surabaya, la seconda città dell’Indonesia, è stata macchiata da una tragica scia di sangue, montano le pressioni sul parlamento di Giacarta perché voti una legge ad hoc - già sottoposta dall’esecutivo nel febbraio 2016 - che garantisca pieni poteri all’anti terrorismo. Tutto comincia domenica, quando un’intera famiglia – genitori e figli anche minorenni – scelgono tre chiese cristiane – cattoliche e protestanti - per farsi saltare all’ora della messa. Il giorno dopo altri kamikaze (ancora una famiglia) scelgono invece il quartiere generale della polizia. Fa da cornice un’esplosione in una casa privata che segna il fallimento di un attentato in fieri e la morte dell’artificiere. Il bilancio, forse ancora provvisorio, è di 25 morti e 47 feriti, rivendicati dallo Stato islamico.Un duro colpo dopo mesi di calma (relativa) costellata di piccoli episodi, attentati andati a vuoto, perquisizioni e retate dell’intelligence da quel 2016 in cui affiliati al califfato avevano colpito nel pieno centro di Giacarta. Oggi gli inquirenti puntano l’indice sul gruppo Jamaah Ansharut Daulah (Jad), perché Dita Upriarto, il padre folle che ha guidato la sua famiglia contro le chiese, ne sarebbe stato il capo a Surabaya. Jad (anche nota come Jamaah Ansharut Tauhid) è un gruppo filo Califfato creatosi da una costola della Jemaah Islamiyah, organizzazione clandestina filoqaedista ormai praticamente smantellata e ritenuta la responsabile della strage di Bali del 2002.
Dal presidente Joko Widodo alle organizzazioni islamiche si chiede ora al parlamento di approvare velocemente (forse già in settimana) misure che garantiscano all’antiterrorismo e alla sue cellule esecutive (come la famigerata Densus 88) di poter eseguire arresti anche solo in base a sospetti e non soltanto in presenza di azioni criminali. Il grande timore viene da un migliaio di indonesiani partiti per la Siria quando a Raqqa governava il califfo e che sarebbero tornati a casa. Dita era tra questi.
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| Il volume A Oriente del Califfo |
Il governo non può che apprezzare: l’attentato giunge al termine di una settimana che ha visto riunirsi a Giava teologi indonesiani, afgani e pachistani nel tentativo di organizzare una mediazione intraislamica per alimentare il processo di pace. Forse c’è persino una correlazione tra le bombe di maggio e la lontana guerra nell’Hindukush.

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