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lunedì 18 giugno 2018

Un bilancio della tregua afgana e un consiglio al governo italiano

Mentre il convoglio partito dall’Helmand 38 giorni fa è arrivato stamane a Kabul, si può tentare un bilancio della tregua decisa da governo e talebani in Afghanistan. Ghani lancia la proposta di otto giorni di cessate il fuoco a cavallo di Eid el-fitr, la festa che celebra la fine del digiuno rituale. I talebani aderiscono all’idea per soli 3 giorni (da giovedi notte a domenica notte). Ghani in seguito si spinge a proporre un prolungamento cui chiede aderiscano anche i turbanti in armi. I talebani dicono no e aggiungono che la loro non è stata una decisione dovuta all’appello del governo ma una scelta autonoma che comunque prevedeva una tregua solo con gli afgani e non con gli stranieri. Da oggi, a loro dire, riprende la guerra contro invasori e “puppet” locali. Ma il dato resta. La tregua ha funzionato con scene incredibili di abbracci e strette di mano tra talebani e parenti ma anche con soldati e ufficiali dell’esercito. Molti guerriglieri sono entrati nelle città e nei villaggi - dove da anni non possono mettere piede – aderendo alla richiesta che non lo facessero armati.

La tregua ha tenuto e, trattandosi della prima in assoluto, si conferma un successo totale. La speranza di un prolungamento era appunto una speranza e può anche darsi che abbiano influito i due attentati nella provincia di Nangarhar (uno dei quali rivendicato dallo Stato islamico) che hanno ucciso civili, soldati e talebani facendo scattare, da quel momento, il divieto per i guerriglieri di recarsi a incontri con parenti o soldati. Lo Stato islamico ce l’ha messa tutta per far deragliare questa anticamera di uno spazio negoziale, ma le sue stragi hanno solo un effetto tattico e in realtà rafforzano il desiderio di pace.

E' un desiderio che è ormai esploso pubblicamente e di cui la marcia di circa 800 chilometri dall’Helmand è il segno. La gente comune vuole la pace, dall’Helmand a Kunduz, da Herat a Kabul. Le donne di Helmand ieri hanno chiesto ai talebani di aderire al prolungamento della tregua e gli attivisti della marcia sono pronti a consegnare a governo e talebani un piano in 4 punti: estensione del cessate il fuoco; colloqui di pace tra governo e talebani; accordo su leggi condivise; ritiro delle truppe straniere. Programma chiaro, condivisibile e accettabile.

Cosa succederà adesso? Un successo raggiunto non è per forza l’apertura di una via maestra senza intoppi ma se la tregua ha funzionato è anche perché la gente comune si è data da fare: marciando, protestando, alzando la voce, reiterando le richieste. La saggezza imporrebbe a governo e talebani – ma anche a noi stranieri – di capire che l’occasione è storica. E se davvero volessimo la pace, noi occidentali che ce ne riempiamo sempre la bocca, dovremmo essere i primi a sostenere le proposte dei marciatori, cioè del popolo afgano. Vediamo se il governo pentasalvinato – espressione di due gruppi da sempre favorevoli al ritiro – batterà un colpo. Per ora non mi pare che abbia detto mezza parola (a parte 4 righe in un comunicato della Farnesina del 17 giugno peraltro bilanciate da una trentina sull'incontro tra Moavero e Jens Stoltenberg a Roma il 10). Del resto anche Trump era per il ritiro delle truppe salvo poi decidere di triplicare i bombardamenti.

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