Cesare Lombroso: "Rivoluzionari e criminali politici, matti e folli" |
Al prossimo censimento mi dichiarerò rom. E’ il mio piccolo gesto di resistenza civile a una possibile lista nera che si aggiunga alla schedatura di questo popolo già presente in tutti
i commissariati e prefetture di Italia. Ma anche per dire che non so da dove vengo. Un modo per rompere i confini di un’identità che mi va stretta
Ho fatto questo ragionamento in macchina sull’autostrada Milano Bologna mentre andavo, ieri, a presentare il libro “Sconfinate” con Giuliano Battiston e Pierluigi Musarò – coautori di un volume sui confini – nel contesto di Atlas of transition, un progetto il cui titolo è inequivocabile e dove le parole di Salvini sono arrivate come l’ennesima bomba del nuovo governo. Una “sparata” oscura e che prefigura una sorta di lista di proscrizione per i rom. In fondo – ho pensato – se mi dichiarassi rom anch’io, starei dicendo il falso? E chi lo sa?
Quel che è certo è le mie origini sono “nomadiche”, che quel che era la mia famiglia di origine si è spostata, chissà da dove, chissà per quanto, fino ad arrivare in Piemonte dove i Giordana contano 298 delle oltre 340 famiglie presenti in Italia: stanno in Piemonte tra le province di Cuneo e Torino. Al netto di sposalizi, migrazioni, spostamenti e considerato che Giordana è un cognome poco diffuso, questa cosa mi fa pensare che in origine fossimo un piccolo nucleo di migranti arabi – dalla valle del Giordano – che per qualche motivo (sfuggire a una guerra o a una persecuzione etnico-areligiosa o semplicemente per trovar lavoro) avevano scelto una qualche località verso Cuneo. Quanto durò quella migrazione? Quando avvenne? Quanto fummo obbligati a integrarci e quanto lo scegliemmo?
Eravamo ebrei o musulmani? O cristiani di rito orientale? Cambiammo fede per opportunismo o necessità? Che identità corre nel mio sangue? So che mio bisnonno, un ufficiale dei carabinieri, venne mandato dal Piemonte in provincia di Cremona dove sposò una tabaccaia di Crema, Elvira Carniti. Morirono giovani e mio nonno Tullio, che venne adottato da una famiglia locale, mise la bandierina a Crema dove adesso risiedo anch’io. Ma, come nonno Tullio e mio padre – che a Roma è nato – anch’io ho passato un periodo così lungo della mia vita a Roma da sentirmi ormai quasi più laziale che lombardo. Più terrone che magnapolenta. Alessandra, la compagna con cui ho avuto due figli - Malvina e Giovanni nati a Roma - era di famiglia toscana: D’Averi, ancora oggi diffusi nella Toscana orientale. I miei figli son romani? O, come me, felicemente bastardi, meticci, sangue misto di cui resta traccia nella carnagione olivastra, i capelli mossi o ricci, il profilo vagamente “giudaico”.
Fummo nomadi, forse perseguitati, aderenti a fedi religiose passibili di transizioni del nostro credo, mescolati con uomini e donne d’origine altrettanto incerti. Questo si che è certo.
Fummo, siamo bastardi e felici di esserlo. Dunque, molto onorevole Salvini, anche rom, perché no?
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